Difendiamo il pop dai populismi. Teniamolo il più possibile lontano dai richiami identitari, dai tic e vezzi dell’ideologia. Non riduciamolo a figurina del Pantheon o di una mappa visuale da ingolosire lo stanco schematismo culturale, la pigrizia redazionale, il riflesso del pregiudizio. Non è una semplice questione di categorie. Del tutto e inesorabilmente frullate dal postmoderno. Ma di un cognome e nome: Rovazzi Fabio. Non fa nulla per sembrare l’ennesimo para-guru della rete. Non smania per sapienza infusa con la barba di due giorni e il cipiglio di chi regge le sorti del pensiero globale. Azzardando si lambirebbe la genealogia…però, però in quella canzoncina “Volare” (feat. Gianni Morandi) c’è un piccolo e grande punto di caduta o passaggio di testimone in salsa social. Una canzone per nulla ricordabile. Una rappresentazione perfetta per citazioni di videogame di “teste di cuoio”, corpi speciale, Tom Clancy e certe serie che hanno aperto l’immaginario avanzato. “Puro pop”, cioè popolare, profondo, perenne. Non populista, secondo il denso saggio di sociologia politica del populismo di Manuel Anselmi “Populismo. Teorie e problemi”, recentemente pubblicato da Mondadori università.
Per citare un brano precedente di Rovazzi, “tutto molto interessante”… Al dunque la conferma di una lunga durata che parte dai’Sessanta di Morandi e Rita Pavone, passa, nel decennio successivo per la maestria “intellettuale” degli Squallor e, per li rami, arriva a Jovanotti con la sua moto, per non dire, del suo sdoppiamento disco in Gino Latino e gli 883 di “sei un mito” et cetera. Basta che sia pop come un selfie mosso sulla contemporaneità. (da Il Tempo)