“Arrossimmo di rabbia e vergogna nel vedere gli uomini spogliarsi delle divise e fuggire a casa. Un richiamo echeggiava in Italia: abbiamo famiglia. Noi eravamo pronte a imbracciare i loro moschetti” è uno dei ricordi che le ausiliarie della RSI lasciano nel dopoguerra per motivare la scelta di servire, primo caso in Italia, in divisa grigio-verde. Tre reparti ausiliari (Esercito Nazionale Repubblicano, Decima MAS, Guardia Nazionale Repubblicana) e un numero molto alto di adesioni, tanto elevato da stupire gli stessi uomini. Poi, con la fine della guerra, le epurazioni, gli stupri e gli omicidi: una storia comune a molte donne, di ieri e di oggi, che dalla 1° Guerra Mondiale servono gli eserciti come ausiliarie, nei reparti di supporto o di prima linea.
Alleati Nel 1942, l’esercito statunitense costituisce il Women’s Army Auxiliary Corps (WAAC e Women Accepted for Volunteer Emergency Service, WAVES – US Navy) che raccoglie giovani americane inquadrate come forza ausiliaria e con ruoli di centraliniste, stenografe, meccaniche, cuoche. Malgrado non raggiungano la prima linea, le WAAC svolgono un compito molto importante, tanto da sopravvivere il Corpo alla Seconda Guerra Mondiale e fino al 1978, anno in cui le donne possono arruolarsi nei reparti regolari dell’US Army. Corpi simili nascono in altri paesi alleati; in Inghilterra sono decine le donne che aderiscono al progetto SOE – Special Operations Executive, unità di sabotatori inglesi che opera dietro le linee tedesche. Donne catturate, torturate e uccise: il genere non conta, nessuna pietà per le spie catturate.
Mosca In Unione Sovietica le ragazze raggiungono il fronte come cecchini ( Ljudmyla Mychajlivna Pavličenko, due Ordini di Lenin, Eroe dell’Urss, oltre 300 nemici uccisi), altre nelle squadriglie dell’Aeronautica russa, servendo dapprima in apposite unità femminili, poi con gli uomini. Fra loro, il pilota caccia Lidija Vladimirovna Litvjak, asso con 13 vittorie.
Asse Donne sono impiegate anche negli eserciti dell’Asse; coerentemente alla mentalità del tempo con ruoli che vanno dalla logistica alla sanità. In Germania fanno parte del Kriegshilfedienst (Servizio Ausiliario); in Italia, dal 1944, entano nel Servizio Ausiliario Femminile. Ce ne sono tre: il SAF del generale Piera Gatteschi Fondelli, prima (e al momento unica) donna a ricoprire un così alto grado nella Storia militare d’Italia, il Servizio della Decima MAS e quello della Guardia Nazionale Repubblicana. Non ufficialmente, anche le Brigate Nere si dotano di donne nei loro ranghi.
Il dopoguerra è difficile: alle epurazioni e agli stupri, si aggiungono le renitenze di una società sicuramente più democratica, ma ancora restìa ad accettare l’idea di una donna in divisa. Ad esempio, inseguito alla Liberazione di Roma, i comandi partigiani della Capitale impediscono alle partigiane di sfilare: ragazza rimaste per mesi in clandestinità insieme a uomini… che ne penserebbe la gente?
CRI e SMOM Dal 1861 ad oggi, altre donne hanno servito la Patria in uniforme, con ruoli legati all’assistenza sanitaria: le Infermiere Volontarie della Croce Rossa Italiana e le infermiere dell’Ordine di Malta. Dopo il 1945, Infermiere Volontarie della CRI servono nella Guerra di Corea, svolgendo un importante compito di aiuto ai feriti nella campagna del 1950-’53. Un impegno importantissimo celebrato (e decorato) dai comandi americani. L’ apporto e l’impegno delle “crocerossine” continuano negli anni avvenire, in ogni missione alla quale partecipano le FFAA Italiane.
Oggi Tornando ai giorni nostri, chi sono le donne in divisa? In Italia, dal 2000 con la legge 380, sono migliaia le ragazze già passate per le quattro Forze Armate e per gli altri Corpi dello Stato, dando un contributo importante alla trasformazione e alla elevazione professionale di un esercito che, se quindici anni fa era ancora legato alla coscrizione e a standard da Guerra Fredda, oggi punta su professionalità e conoscenze personali al servizio dell’Arma che rendono, in pace e in guerra, i nostri militari fra i migliori e più competenti dell’Alleanza Atlantica.