Entrare nel museo “La giostra della memoria” è essere museo cioè, “luogo sacro alle muse”: c’è un’aria di antico, di sogno, di interno profondo. È come un percorso a ritroso mentre si va avanti, ma col bisogno di fermarsi a una sosta, varcare le dimensioni dell’essere e dell’esistere, di ciò che è stato e continua a vivere in ogni più piccola cosa, “dolce come rosa”. Prima di salire le scale, l’occhio si sofferma nella stanza della medicina popolare che del popolo ha la primigenia raffinatezza, una sorta di quintessenza di alberi, radici, cortecce e corolle, zolle di terreno e sali di carbonio, un ciclo vitale che si perpetua in una vegetazione rimasta sempre accesa nei rametti di rosmarino e di lavanda, di miosotis e ginestre, nei sacchetti di mille semi sempre profumati, nelle ampolle sui ripiani di bianche apoteche senza tempo che serbano petali di primavere mai avvizzite, da mostrare con timida fierezza a chi andando vorrebbe restare in essa. Un corridoio stretto, forse c’è un arco, introduce ad altri mondi, si può decidere dove proseguire, è un po’ come la strada della mente con le sue possibilità di scelte, i sensi attenti ma immersi in un’atmosfera di veglia dormiente. Fuori c’è il rumore delle cose che cambiano, dentro c’è il cambiamento a ogni momento, niente è uguale se torni nella stessa stanza, mentre tutto sembra fermo. Ma in silenzio. E non è inganno. Si potrebbe rimanere ore soltanto in una di esse, e sono venti, a perdersi in oggetti che sono soggetti di una propria vitalità, ognuna con i suoi battiti. Stanze di trame e orditi, un telaio che fila i pensieri sottili davanti agli occhi, per vestiti da spose, con corredi di cotoni di Fiandre e lini di Irlanda. Stanze di bambole e ognuna è l’immagine di un luogo, di un’epoca e di uno stile, di una fase della nostra infanzia e di quella altrui, oppure lo specchio di una maturità raggiunta, come di un frutto maturo e polposo. Stanze di ceramiche a metà tra quadri e sculture, colori soffusi di una luce che riposa. Una finestrella illuminata di una cucina apparecchiata, in una soffitta mai dimenticata. La stanza del contadino che è in ognuno di noi, anche i nobili ce l’hanno, perché il sangue scorre in tutti come fiume e si ferma quando arriva al mare per gettarvisi senza timore. La stanza della maestra, dove si respira la tenerezza di una madre e di un antico aio e di una maestrina di una frazione di montagna, con una stufetta a carboni per scaldare gli inverni. La stanza di don Cirillo che è quasi onomatopea: campane campanellini e carillon, un ostensorio e i paramenti di un sacro solenne roboante, tra statuette di San Vitale in esposizione lineare come in processione, non noi, le statue stesse: una, tante, uguali nella ripetizione di un rito di ingresso a un’altra dimensione. Le scalette tortuose, anch’esse museo, alle pareti delle quali nessuna iscrizione è per caso. Persino la stanza della pubblicità, quando la pubblicità era un carosello. Non poteva mancare la stanza della transumanza dei pastori d’Abruzzo, che offre numerosi spunti canonici di studio sulle tradizioni di questa regione e nel contempo evoca un altro aspetto del nostro percorso umano, di quando siamo stati e siamo “nomadi che cercano angoli della tranquillità”. Ed altre stanze che è meglio non dire, per non sciupare la sorpresa dei visitatori, i quali si aspettano un museo “aristotelico” con etichette e catalogazioni e invece si ritrovano nell’assoluta libertà del mondo platonico delle idee dove, partendo dal sensibile si va oltre il sé e oltre le tracce di tante storie isolate, verso un principio di legame comune che richiama al significato universale di storia e di memoria.
Il lavoro trentennale di ricerca di un’appassionata di…bellezza, la professoressa Angiolina Balduzzi, in una costruzione antica in pietra di tre piani nel centro storico di San Salvo in provincia di Chieti, che riserva il dono del ricordo. Pur non mostrando insegna alcuna, se non qualche segno, quasi a voler riservare il privilegio di scoperta o riscoperta a quanti ne sentono il bisogno o solo il desiderio, passando di lì.