Uno dei problemi principali dell’Islam di oggi, e quindi di tutto il mondo, è che l’originaria e prevalente egemonia mistica su di esso, quella che fino dai tempi del Profeta era il sufismo, è oggi contestata dai jihadisti che stanno sempre più subendo l’influenza del movimento radicale wahhabita, originario dell’Arabia oggi detta saudita.
Il sufismo era invece un movimento mistico nel quale, sotto la guida di esperti e dotti maestri, ci si concentrava sulla preghiera e sull’adorazione di Dio attraverso il dhikr, l’invocazione a Lui rivolta, e il wird, le litanie estratte dal Corano, fino a raggiungere l’estasi (wajid). Questa era la via (tariqa) che conduce all’annientamento del “sé” individuale (fana) e all’unione dell’anima con Dio. Fino dal XII secolo apparvero confraternite dette appunto “vie” (turuq, plurale di tariqa) i membri delle quali si definivano “dervisci” (una parola araba d’origine persiana, darwish, designante i poveri, i mendicanti) o anche faqr, che ha analogo significato. I dervisci erano, e grazie a Dio sono ancora, dei “sufi”, detti così dal loro semplice abito di lana (parola che in arabo suona appunto suf) fornito di cappuccio. E’ quindi scorretto attribuire il termine “derviscio” solo alla confraternita dei cosiddetti “dervisci ruotanti”, quella fondata nel XIII secolo a Konya, nell’attuale Turchia, da Jalal ad-Din Rumi (1207-1273), conosciuto con l’epiteto di Mawlana (in arabo: “nostro Maestro”) o, in turco, “Mevlana”: loro caratteristica è la danza in cerchio come mezzo per ottenere l’estasi. L’Islam ispirato dai sufi, a carattere mistico e indirizzato quindi alla pace, alla serenità e all’armonia.
Quando i dervisci pregano da soli o insieme, o danzano, il raggiungimento dell’estasi è segnato dal loro emettere “spontaneo” un grido gorgogliante, che somiglia a u tubar di colomba, e che si esprime in arabo come “Hu!”: il termine che indica il pronome di terza persona per eccellenza: Lui. La parola araba per designare Iddio, “proprio Lui”, è Allah-Hu.
Non possono esserci molti dubbi sull’impressione provocata nel sultano al-Malik al-Kamil quel giorno, presso Damietta, quando gli si presentò un ometto smagrito e vestito di un misero saio di lana provvisto di cappuccio probabilmente calzato sulla testa, a mo’ di umiltà e di rispetto. Quell’ometto veniva dai faranj (i “franchi”) che assediavano la città e che per noi sono gli armati della “quinta crociata”.
Si è molto discusso su che cosa volesse quell’uomo dal sultano. Qualcuno ha ipotizzato che fosse latore di un messaggio da parte del legato pontificio della crociata, il cardinal Pelajo. Non è granché probabile l’illustre e superbo prelato avrebbe scelto probabilmente ben altri ambasciatori. Diciamo che quell’ometto vestito di lana voleva incontrare il sultano per parlargli di Dio, come ne parlava ai potenti e ai poveri della sua terra e magari anche agli uccelli: e una volta perfino a dei briganti, o a un lupo, che poi in fondo sono la stessa cosa. Al-Malik al-Kamil era un buon musulmano: può un buon musulmano non ricevere un povero, non invitarlo a mensa, non parlare con lui, specie se quel povero viene a lui nel nome di Allah, il Clemente, il Misericordioso, che sia sempre lodato il Suo Santo Nome?
Chissà che cosa si dissero. Magari, il sultano spiegò all’ometto che lui, così vestito di suf, era un sufi, e che i sufi sono anche darwish o fakhr, mendicanti, e che quando sono ripieni di Dio danzano e lo chiamano invocandolo come “Hu!”, “Lui!”. E aggiunse che i sufi sono detti awliya (al singolare, wali), cioè “amici”, in quanto hanno l’”amicizia” (wilaya) di Dio. E magari all’ometto tutto ciò piacque.
San Francesco danzante
Sappiamo che Francesco danzava, quando era ripieno di Spirito Divino. Quanto al suo buon discepolo, frate Masseo, il capitolo XXXII dei Fioretti recita Come frate Masseo impetrò da Cristo la virtù della santa umilta. E dice:
“I primi compagni di santo Francesco con tutto isforzo s’ingegnavano d’essere poveri delle cose terrene e ricchi di virtù, per le quali si perviene alle vere ricchezze celestiali ed eterne.
Addivenne un dì che, essendo eglino raccolti insieme a parlare di Dio, l’uno di loro disse quest’esempio: «E’ fu uno il quale era grande amico di Dio, e avea grande grazia di vita attiva e di vita contemplativa, e con questo avea sì eccessiva umilità ch’egli si riputava grandissimo peccatore; la quale umilità il santificava e confermava in grazia e facevalo continuamente crescere in virtù e doni di Dio, e mai non lo lasciava cadere in peccato».
Udendo frate Masseo così maravigliose cose della umiltà e conoscendo ch’ella era un tesoro di vita eterna, cominciò ad essere sì infiammato d’amore e di desiderio di questa virtù della umiltà, che in grande fervore levando la faccia in cielo, fece voto e proponimento fermissimo di non si rallegrare mai in questo mondo, insino a tanto che la detta virtù sentisse perfettamente nell’anima sua.
E d’allora innanzi si stava quasi di continovo rinchiuso in cella, macerandosi con digiuni, vigilie, orazioni e pianti grandissimi dinanzi a Dio, per impetrare da lui questa virtù, sanza la quale egli si reputava degno dello inferno e della quale quello amico di Dio ch’egli avea udito, era così dotato.
E standosi frate Masseo per molti dì in questo disiderio, addivenne ch’un dì egli entrò nella selva, e in fervore di spirito andava per essa gittando lagrime, sospiri e voci, domandando con fervente desiderio a Dio questa virtù divina. E però che Iddio esaudisce volentieri le orazioni degli umili e contriti, istando così frate Masseo, venne una voce dal cielo la quale il chiamò due volte: «Frate Masseo, frate Masseo!». Ed egli conoscendo per ispirito che quella era voce di Cristo, sì rispuose: «Signore mio!». E Cristo a lui: «E che vuoi tu dare per avere questa grazia che tu domandi?». Risponde frate Masseo: «Signore, voglio dare gli occhi del capo mio». E Cristo a lui: «E io voglio che tu abbi la grazia e anche gli occhi».
E detto questo, la voce disparve; e frate Masseo rimase pieno di tanta grazia della disiderata virtù della umiltà e del lume di Dio, che d’allora innanzi egli era sempre in giubilo; e spesse volte quand’egli orava, faceva sempre un giubilo informe e con suono a modo di colomba ottuso: U U U, e con faccia lieta e cuore giocondo istava così in contemplazione.E con questo, essendo divenuto umilissimo, si riputava minore di tutti gli uomini del mondo”.
Ecco la storia dei sufi, Ordine di Fratelli Mendicanti vestiti di lana. Ed ecco la “storia sufica” di Francesco e di Masseo, “amici di Dio”. I corsivi sono miei.