Al netto di un sistema bislacco che non conosce ballottaggio se superato il 40% al primo turno, Leoluca Orlando si è dimostrato il più forte di tutti. Più forte anche dell’ombra di Totò Cuffaro. Il sindaco della “primavera palermitana”, l’ormai “eterno Orlando”, manda all’aria tutte le altre ricette del laboratorio siciliano. O pasticci, per essere più precisi. Il tentativo del centrodestra di trovare in Fabrizio Ferrandelli – ex umanista, ex deputato regionale del Pd nonché ex figlioccio manco a dirlo di Orlando – un frontman ha portato a poco. Appena il 31,2%. E anche se Forza Italia può piangere con un occhio, essendo arrivata seconda (8,7%) su 18 liste dietro soltanto al M5s, è l’area centrista a fermarsi al palo. Il listone Scudocrociato non va altre al 3,1%, mentre il Cantiere Popolare di Saverio Romano e appunto Cuffaro si è fermato al 4,2%.
La palude cuffariana
Ecco il valore reale del presunto “regista” della politica siciliana. Non di più. Una presenza, evidentemente, avvertita come un fastidio dagli elettori palermitani, che hanno fatto quadrato su Orlando (46,9%) e solo in parte sul grillino Ugo Forello (16,34%), contro un progetto definito dai media come “paludoso”. Ai margini della contesa resta il candidato benedetto da Matteo Salvini e Giorgia Meloni, il giovane e di fede evangelica Ismaele La Vardera (2,63 %), segno che quello sovranista è un verbo che affascina poco i siciliani. Insomma, archiviato il progetto Ferrandelli, il centrodestra può mandare in soffitta anche l’ipotesi tutta cuffariana a sostegno di un candidato di sistema, un Macron alla norma stile Roberto Lagalla (già rettore a Palermo), per arginare la marcia dei cinque stelle in vista delle Regionali di novembre. Intanto, da destra, resta in campo solitario Nello Musumeci.