Un governo Renzi-Berlusconi gestirebbe l’impoverimento del paese e potrebbe innescare forme di ribellione sociale: “La sola spiegazione possibile di questa nuova legge elettorale, che reintroduce il proporzionale, ma con uno sbarramento del 5%, è che Renzi abbia già in mente di fare un accordo con Berlusconi dopo le elezioni”. Secondo Giorgio Galli, politologo e storico tra i maggiori studiosi del sistema politico italiano (negli anni ’60 individuò nel “bipartitismo imperfetto” la causa del malfunzionamento della nostra democrazia), questo è il prevedibile sbocco del percorso tracciato da Renzi all’indomani della sconfitta referendaria del 4 dicembre 2016, che il neoconfermato segretario del Pd spera di concludere con il ritorno a Palazzo Chigi. “Naturalmente tutto dipende dal fatto che alle prossime elezioni Pd e Forza Italia riescano a ottenere abbastanza seggi per formare una maggioranza”.
Ma che tipo di governo sarebbe quello tra Renzi e Berlusconi e, in questo caso, che tipo di opposizione si costituirebbe in parlamento? Galli ritiene che Berlusconi abbia ancora una volta bisogno del governo per proteggere le sue aziende. Nel 1994 il problema era il debito del gruppo, che fu risolto due anni dopo con la quotazione in Borsa. Oggi il problema si chiama Vincent Bolloré, che ha cercato di scalare Mediaset nel dicembre dello scorso anno, arrivando a un passo dal 30%, anche se adesso il pericolo sembra scampato. “A Berlusconi, secondo me, importa poco di cosa farà il governo. Ha bisogno di essere garantito su quel fronte. Credo abbia accettato per questo. Fino a una quindicina di giorni fa non sembrava disponibile a una nuova collaborazione con Renzi. Appariva molto dubbioso, perché Renzi lo ha già imbrogliato una volta e teme che possa imbrogliarlo una seconda volta. Evidentemente, negli ultimi quindici giorni ha avuto qualche garanzia. Ma, ripeto, bisogna vedere se prenderanno abbastanza seggi: siamo in una fase di grande volubilità dell’elettorato e non sappiamo ancora come sarà costruita tecnicamente la legge elettorale”.
Il riferimento al modello elettorale tedesco potrebbe infatti trarre in inganno, perché in Germania i collegi elettorali sono uninominali, mentre in Italia lo saranno solo a metà. “In ogni caso”, dice Galli, che taglierà il traguardo dei novant’anni nel febbraio dell’anno prossimo, “non credo che Pd e Forza Italia potranno contare su una grande maggioranza. E sarà un problema, perché l’economia continua ad essere stagnante, al di là di quel che si legge, e il governo dovrà fare i conti con un’opposizione molto forte: da una parte la Lega, che in questa eventualità si staccherebbe da Berlusconi, diventando forza di destra autonoma, più a destra del lepenismo, e si avvicinerebbe a Fratelli d’Italia, con cui potrebbe formare una lista; dall’altra, i Cinque stelle. Quindi, anche se Renzi e Berlusconi ottenessero la maggioranza per 10-15 seggi, con un paese insofferente e insoddisfatto, la situazione per il governo sarebbe comunque grave”.
Secondo Galli, che ha insegnato a lungo Storia delle dottrine politiche alla Statale di Milano e ha pubblicato decine di saggi di carattere storico-politico, il rischio più grave nell’immediato futuro non è l’ingovernabilità. La storia dimostra che si può governare anche con maggioranze ristrette. L’interrogativo del professore è un altro: “Sarà in grado, una maggioranza Renzi-Berlusconi, di dare risposte sulla disoccupazione e di fronteggiare i licenziamenti di aziende come Alitalia e Ilva in un contesto economico che rimane grave e con molti problemi in sospeso, primo fra tutti i rapporti con l’Europa?”.
Gestione dorotea del paese
Facciamo nostra la sua domanda per chiedergli cosa potrebbe realizzare in concreto un governo del genere. La risposta è: “Penso che potrebbe assicurare una gestione dorotea del paese”. Il richiamo è alla corrente moderata della Dc nata nel 1959 contro la linea di apertura al centro-sinistra di Amintore Fanfani. Termine – doroteo – divenuto sinonimo di tante cose negative: conservazione del potere, conquista dei posti di comando, immobilismo, mediazione, il tutto condito da un linguaggio apparentemente innovativo. “Il Renzi riformista – puntualizza Galli – è finito il 4 dicembre, e senza una strategia riformista ci sarà solo occupazione del potere da parte degli amici di Renzi e dei ceti parassitari subentrati in questi decenni al capitalismo delle grandi famiglie. Sarà un doroteismo senza sviluppo in un contesto internazionale sempre più competitivo. Mentre il doroteismo classico gestì, sia pure con grandi squilibri, l’arricchimento complessivo della società italiana avvenuto nel trentennio tra il 1946 e il 1976, il nuovo doroteismo renziano ne gestirà l’impoverimento. Continuerà a garantire l’egemonia sociale del capitalismo finanziario e di una borghesia parassitaria incapace di assicurare uno sviluppo al paese”.
In questo caso, però, Renzi lascerebbe sguarnita l’area socialdemocratica e cattolico-democratica, che potrebbe essere attratta dal Campo progressista di Giuliano Pisapia e dal Movimento democratico e progressista dove sono confluiti i leader della sinistra (Pierluigi Bersani, Massimo D’Alema e Guglielmo Epifani) usciti qualche mese fa dal Pd. Galli sorride, scuote leggermente la testa, gli occhietti gli brillano: “Penso che gli spazi possano essere riempiti più dalla destra che dalla sinistra, oppure dai Cinque stelle, che stanno giocandosi tutto con la promessa di andare al governo. Può anche darsi che, per effetto della nuova legge elettorale, la sinistra sia costretta a mettersi insieme. Ma con quale risultato? La mia preoccupazione è che lo spazio che potrebbe essere aperto dal doroteismo impoverente di Renzi e Berlusconi possa essere occupato più da destra che da sinistra. La sinistra avrà, a mio avviso, una presenza scarsa in parlamento. La destra avrà certamente un peso maggiore. Salvini e la Meloni potrebbero arrivare al 17-18%, contro una sinistra che se sta insieme può sperare, secondo me, in un 6 per cento. Da parte loro, i Cinque stelle potrebbero ottenere, secondo i sondaggi, un successo del 30%, ma, anche se potranno contare su una robusta presenza parlamentare, avranno comunque un problema. Ora giocano sulla promessa di andare al governo, ma non credo che ci riusciranno, anche se qualcuno di loro è convinto di poter vincere e comincia a parlare di alleanze. E se non vanno al governo ora non ci vanno più”.
I 5stelle come il vecchio Pci
Con le dovute differenze storiche, osserva Galli, per i Cinque stelle s’è venuta creare una situazione da vecchio bipartitismo, quando il partito comunista, pur potendo contare su circa il 30% dei voti, si vedeva sbarrate le porte dell’esecutivo per il suo legame con l’Urss. “Tuttavia il Pci, attraverso il consociativismo, riceveva risorse per le amministrazioni locali in cui governava. Adesso non ci sono più nemmeno queste risorse. Quindi avremo da una parte una maggioranza dorotea e dall’altra una forte minoranza che, senza la possibilità di andare al governo, non avendo le risorse del vecchio consociativismo, probabilmente dovrà sviluppare un’opposizione molto combattiva per tenere insieme il proprio elettorato”.
La proposta forte e ricorrente del Movimento di Beppe Grillo è il reddito di cittadinanza, che può essere realizzata solo stando al governo. Una prolungata permanenza all’opposizione rischia invece di condannare i Cinque stelle a un lento logoramento. “La loro parola d’ordine è cacciare la casta, ma se la casta resta al proprio posto, se non la cacci con il voto, cosa fai? La democrazia telematica non può cacciare una casta. In questo quadro vedo delinearsi tre tipi di opposizione: una di sinistra, con una consistenza parlamentare debole e un debole insediamento sociale, una di destra attorno a Salvini e alla Meloni, abbastanza consistente, e una terza, né di destra né di sinistra, anch’essa molto consistente, che tenderà a radicalizzarsi in caso di insuccesso elettorale. E per contro una fragile maggioranza parlamentare”.
E quanto più la sinistra sarà debole, tanto più tenderanno a rafforzarsi gli altri due tipi di opposizione, che Galli considera insidiosi per un governo che non possa contare su una larga maggioranza. In assenza di un significativo miglioramento del ciclo economico le tensioni latenti nella società italiana potrebbero esplodere. “Il grande successo della Dc derivava dalla possibilità di espandere in continuazione la spesa pubblica, per il complessivo incremento delle risorse disponibili. Adesso ci si impoverisce, e c’è competizione anche all’interno dei gruppi sociali che controllano le risorse pubbliche, sempre più dediti ad accaparrarsele piuttosto che a migliorare o a non far peggiorare il funzionamento dei servizi”.
Lo spettro del ’68
Oggi prevale nella società la tendenza alla rassegnazione, perché sono ancora disponibili, anche se andranno ad esaurirsi, le risorse accumulate dalle famiglie negli anni della crescita e della spesa facile. “Finora le tensioni e l’insoddisfazione sociale si sono espresse solo attraverso comportamenti elettorali. E ne abbiamo avuto la prova anche il 4 dicembre con il no alla riforma costituzionale, che ha dimostrato l’esistenza di una linea di continuità storica nell’elettorato italiano, secondo me positiva, che tende a considerare la carta costituzionale come un valore da mantenere. Ma le tensioni sociali sono spesso inspiegabili. Cosa potrebbe succedere se l’insoddisfazione continuasse e non cambiasse niente? In fondo il ’68 fu una grande sorpresa”.
Il 1966 era stato un anno tranquillo, ricorda Galli: “I contratti dei metalmeccanici, degli edili e dei chimici erano stati rinnovati con scarsi ritocchi e praticamente senza alcuna contestazione. Le ricerche indicavano come unica preoccupazione dei giovani la carriera individuale, che almeno c’era. Sono le stesse cose che si dicono oggi. Poi, in un contesto internazionale caratterizzato dalla guerra in Vietnam, dalla rivolta di Berkeley, dalla controcultura, dal castrismo, dal guevarismo, che preparano il terreno al maggio francese, tutto cambia inopinatamente. Era proprio l’anno dei dorotei, che avevano trasformato il centro-sinistra delle riforme in un centro-sinistra stagnante. E dalla tranquillità e dalla rassegnazione del ’66, pur in una situazione di miglioramento delle condizioni economiche, la società italiana arrivò molto rapidamente alle tensioni del ’68”.
Galli individua forti elementi di analogia tra il passato e il presente. Anche oggi c’è rassegnazione e adattamento: “Apparentemente non accade nulla, c’è un clima di stagnazione in un mondo in forte movimento con un sistema di alleanze internazionali che sta cambiando e con le competizioni che stanno accentuandosi ovunque. Alla superficie vediamo rassegnazione, ma in profondità vedo grandi cambiamenti. Qualunque osservatore direbbe che non esistono le condizioni perché dalla rassegnazione si passi a forme di contestazione. Però i segnali non mancano. L’insoddisfazione sociale ha per esempio fatto sì che, in alcune zone del Sud, il “no” alla riforma costituzionale di Renzi abbia raggiunto il 70-75 per cento”.
La ribellione del Meridione
Secondo Galli – che ci mostra una ricerca dell’Istituto Cattaneo dal titolo emblematico “La prova del no” – il fatto che in alcune province del Sud il “no” alle modifiche della Costituzione abbia toccato punte così elevate è indice di un potenziale di ribellione del Meridione. La protesta che oggi si esprime a livello elettorale in modo silenzioso, disciplinato e arrendevole, domani potrebbe esprimersi ad altri livelli, in modo rumoroso, ostinato e ribelle.
“Nel vecchio bipartitismo, la destra autoritaria, rappresentata dal Movimento sociale italiano, salvo l’exploit del 1972, era mediamente intorno al 5% e il Pci, prima dell’avanzata degli anni ’70, intorno al 25 per cento. Oggi abbiamo una destra, in qualche modo vicina alle posizioni di allora, che è intorno al 17-18% e una sinistra che potrebbe arrivare al 5-6 per cento. E’ un capovolgimento sorprendente per un paese che sta impoverendosi. Utilizzando tutti questi elementi, non escluderei che la latente tensione sociale, che si è espressa in parte in parlamento e in parte con il no al referendum, possa prendere altre strade, essendosi peraltro indeboliti i corpi intermedi come il sindacato e Confindustria ed essendo in atto la tendenza alla radicalizzazione di certi soggetti politici. Gli elementi di turbamento ci sono”, conclude Galli. “Se e come si manifesteranno è tutto da dimostrare”. (da Business Insider)