I quarant’anni del primo Campo Hobbit, tenuto nel giugno del 1977 a Montesarchio in provincia di Benevento, saranno ricordati con una tre giorni di incontri, musica e dibattiti nella stessa località campana. L’evento è presentato su Barbadillo da Marina Simeone, giovane organizzatrice dell’evento, figlia di Generoso Simeone, icona del movimentismo missino degli anni settanta e deus ex machina del Campo del 1977. Il programma della manifestazione è su www.campohobbit40.it.
Marina Simenone, come nasce l’idea di celebrare i quarant’anni del primo Campo Hobbit?
“Da una chiacchierata con Pietro Golia per la pubblicazione di un libro su Generoso Simeone. E poi confrontandomi con altre realtà territoriali e non, ho scoperto che era un appuntamento davvero atteso un po’ ovunque. Valerio Criscuoli con la comunità Caudina stava pensando a quello stesso anniversario, Davide Scarinzi e Achille Biele con gli amici del beneventano ne stavano preparando i possibili momenti di discussione; insomma, come allora anche oggi, il quarantennale è risultato essere pensiero di una comunità più che di un singolo protagonista, che si è ritrovata a fare riferimento ad un evento, in cui gli ideali che sente propri erano la base propulsiva dell’azione politica”.
Che obiettivo si pone?
“Il risultato come quarant’anni fa non è procrastinabile, ma il fine che ci muove è sicuramente cercare dal confronto e dall’incontro un raccordo ideale con comunità e singoli personaggi sparsi un po’ ovunque, che rappresentano somiglianze notevoli ideali, di serietà, di coraggio e volontà, di passione culturale, di ostinazione politica. Esiste una vivacità, esistono delle intelligenze che meritano di essere scoperte e mostrate. La destra identitaria ed antiliberale non è morta è solo che non è rappresentata da alcuno, al momento. Per cui ripartiamo dall’origine comune, in uno spazio libero da pregiudiziali appartenenze e manie superomiste; discutiamo del che fare, proponiamolo, partecipiamo ad esso. Mai come in questo momento il domani dipenderà dal nostro valore e dalla nostra volontà”.
Storicamente chi organizzò il primo raduno nel 1977?
“Stabilire paternità non credo sia necessario, tantomeno importante. Il Campo Hobbit è stato figlio legittimo di una “rivoluzione di comunità” giovane e trasgressiva, che all’epoca circondava Pino Rauti. Generoso Simeone ne è stato senza dubbio uno dei principali protagonisti, che ha infuso al progetto la volontà un po’ nietzschiana di rompere i dogmi partitici e andare oltre le obsolete immagini comunicative, con cui l’esterno e parte dell’interno aveva imparato a pensare la destra e il fascismo. Con lui tanti altri furono i padri di questo sentore inconscio da Marco Tarchi a Umberto Croppi a Nicola Cospito e Giampiero Rubei a tanti che probabilmente non ho ancora conosciuto”.
A che immaginario si richiamavano i promotori di Campo Hobbit 1? Che autori di riferimento avevano?
“Alla letteratura tolkieniana, adatta potremmo dire all’humus dell’uomo di destra, per la sua aderenza alla tradizione, al comunitarismo, al naturalismo; ma anche al fantasy in generale, che come spesso hanno ripetuto i protagonisti del 1977 non è mai stata fuga ma scelta. Il Signore degli anelli ha contribuito alla modifica del linguaggio e della simbologia. Eowyn è diventata l’immagine di donna guerriera antifemminista ma impegnata nella società, corteggiata dalle donne di destra e imitata. Essa si trasfigura fino a diventare la valchiria bionda di Hildebrandt. Lo stesso medioevo in senso ampio diventa un’epoca da cui attingere per i valori e il senso della comunità, l’onore e la fedeltà che esprime. Gli autori sono tanti e diversi. Le letture tradizionali non vengono abbandonate. Evola continuerà a signoreggiare nella libreria dei destri, ma ad esso si affiancano pensatori come Nietzsche o Brasillach e la letteratura collaborazionista francese, Kerouac con la dannazione della Beat generation, Lorenz con le sue deduzioni etologiche e poi non dimentichiamo l’apertura alla musica Rock e alla satira che espande la visuale culturale, fino a sedimentarsi nel successo della Voce della Fogna e del Bagaglino”.
Che senso aveva nel 1977 un campo giovanile e che senso ha nel 2017?
“Nel 1977 bisognava dare un segnale di esistenza ad un partito che continuava a spegnere ogni impulso creativo nel calderone del nostalgismo. Nello stesso tempo si dovevano portare i giovani fuori dalle sezioni nella realtà di tutti i giorni a contatto con la musica, il cabaret, la moda, la comunicazione i dibattiti del proprio tempo, senza omologarsi ma entrando nel vivo della discussione, perché se ne aveva la forza. Il tutto mentre nelle piazze e nelle maggiori città si assisteva all’esplosione di una violenza che uccideva e divideva. Oggi le cose sono un po’ diverse. Noi non abbiamo più rappresentanti, né contenitori partitici, però abbiamo imparato a pensare; però esistiamo. Abbiamo delle idee e le incarniamo quotidianamente nella nostra attività lavorativa o intellettuale o anche coniugale. Per cui ricordando metaforicamente quel momento vogliamo in realtà provare a ripartire dall’incontro e dal confronto, per avventurarci verso l’ignoto. Non abbiamo più momenti di comunità, talvolta neanche nell’ambito dello stesso territorio, la società liquida ci sta isolando e la modernità ci sta inducendo alla rassegnazione. Tuttavia esistono uomini e donne che resistono. E allora che si parlino e si incamminino insieme, vuoi per costituire strumenti editoriali comuni, contenitori politici, battaglie condivise o altro non ha importanza, ma che si parlino. Dobbiamo insieme fare di Hobbit 40 la festa di tutti coloro che pensano di avere ancora qualcosa da dire, di avere ancora la volontà per incidere una ferita nel proprio tempo, di essere veicolo di idee, perché è l’unico modo per poter sperare di divenire interlocutori politici credibili”.
Cosa resta delle intuizioni del modello porposto con i Campi Hobbit?
“Posso dire un po’ semplicisticamente che dopo quel raduno niente è stato più lo stesso. Al tempo qualche giornalista attribuì al 1977 persino l’esistenza della Nuova Destra, quindi di un nuovo modo di intendere l’essere di destra. Esagerazione per alcuni, probabile. Però è vero che se anche noi trentenni oggi pensiamo a quel momento come alla nostra origine qualcosa è successo. Rimane per alcuni non per tutti ovviamente l’aver conquistato la rilassatezza estetica, la padronanza comunicativa, il considerare se stessi figli del proprio tempo e non degli anni venti. Rimane il non mettere in discussione valori che vivono dentro di te perché non si utilizzano atteggiamenti folkloristici. Rimane intatta l’importanza a storicizzare, a criticare il passato dopo averlo analizzato, di smetterla con le idolatrie e di vivere fuori dai fortini, da anticonformisti, distanti dai ghetti, sprezzanti del pericolo e con adeguata intelligenza strategica. Rimane l’idea di non considerare nessun simbolo più importante dell’idea che rappresenta. Rimane la forza esemplare del poter salutare il proprio padre senza rinnegarne l’insegnamento e cercare, sperimentare vivere nel presente. Insomma le intuizioni ci sono state e le ritengo ad oggi valide, il metterle in pratica credo sia stato più complesso se da una parte come dall’altra si sono scelte scorciatoie il più delle volte”.
Qualche anticipazione sul programma?
“Abbiamo invitato innanzitutto i protagonisti del tempo, perché se è vero quanto ho scritto precedentemente bisogna storicizzare cosa fu Hobbit. Dal sabato mattina invece ci riapproprieremo del nostro presente e quindi guidati dalle case editrici di punta del nostro mondo che sono Settimo Sigillo, Controcorrente ed Ar dibatteremo su Europa dei popoli, Immigrazione, sovranità alimentare e tradizione contro il mondialismo. Ognuno potrà dare il suo apporto, con la presenza, con la proposta, con la critica. Nessuna passerella e tanta musica, cantata e raccontata. Tante foto e riviste degli anni settanta, tanti sapori e racconti della nostra terra. Vogliamo sia la festa delle comunità, del vitalismo, delle volontà”.