Ryōta è un uomo inaffidabile, affranto dalla delusione nell’essere una promessa non mantenuta della letteratura. Giocatore d’azzardo, investigatore privato per tenersi a galla, ex-marito di una donna che ha esaurito le scorte di fiducia, padre maldestro di un bambino che conosce alla fine poco, nonché figlio fragile di una anziana madre amorevolmente rassegnata verso la vita. Basterà una lunga notte di tempesta, con i quattro personaggi obbligati a condividere gli stessi metri quadrati fino all’alba, per riavere la voglia di venirsi incontro e, specialmente, di ascoltarsi?
Dopo Little Sister (海街Diary, “Umimachi Diary”, 2015), pare proprio che Hirokazu Koreeda ami mettere i suoi personaggi “nelle case”. Lo fa con due tra i migliori interpreti giapponesi: Hiroshi Abe (Thermae Romae) Kirin Kiki (Le ricette della Signora Toku). Ancora una volta, il regista propone un potente affresco del Giappone contemporaneo, perfettamente reso nel suo essere tanto ordinato, quanto malinconico, raccontato da Koreeda con maestria e piglio autoriale in numerosi suoi aspetti. Pensiamo, ad esempio, al modo che egli ha di mostrare le periferie di questo Paese con semplicità, ma anche eleganza. Per “l’occhio della yamatologo”, mutuando l’importanza dello sguardo così cara a Italo Calvino, Ritratto di famiglia con tempesta (海よりもまだ深く, 2016) gronda letteralmente di informazioni sull’odierno Giappone: come i sudditi del Sol Levante vivono la quotidianità, il modo in cui mangiano e dormono e, persino, dove vanno a fare l’amore; in questo il film ci ricorda il sublime manga NANA di Ai Yazawa, uscito per la prima volta nel 2000 e attualmente purtroppo sospeso. Il tutto per dire, che il cineasta nipponico ci ha in buona sostanza nuovamente regalato quella sensazione che si potrebbe riassumere col dire: sembra proprio di stare lì! Poi, per chi lì ci è veramente stato e lì non ha fatto solo il turista, monta nell’animo la nostalgia; già, perché ormai Koreeda non è più depressivo come in passato, bensì romanticamente elegiaco.
Al momento della anteprima romana, il regista ha ricordato il suo legame con l’Italia, sin da quando il suo Maboroshi (1995 e non “Maborosi”) venne premiato a Venezia con l’Osella d’Oro per la migliore opera prima. Egli ha dichiarato: “La mia carriera è iniziata qui”. E proprio qui, caro Koreeda, sei e sarai sempre apprezzato, col tuo fare non da artistoide, avendo un atteggiamento a metà tra un professore universitario e un salaryman di Tōkyō. Gentile, incline a riflettere prima di parlare – suprema caratteristica ascrivibile solo agli abitanti dell’Arcipelago – pacatamente simpatico; insomma il più giapponese tra i cineasti al momento in circolazione, questo è Koreeda.
In chiusura, vogliamo reiterare che apprezziamo il Koreeda degli ultimi anni, nel suo aver accantonato la depressione, talvolta mortifera, delle sue opere iniziali, per offrirci pellicole come questa, dove si viene catturati da un autentico “piacere del dialogo”; come quando si enfatizza quella squisita ironia, tipica dei giapponesi, i quali mai offendono, si sa, benché le cose non le mandino certo a dire; così diversi dai cinesi che peccano sovente di franchezza e celerità nelle affermazioni, scadendo talora nella maleducazione. Di simile questi due grandi Popoli hanno comunque il fatto del mangiare in continuazione, come si evince bene pure in Ritratto di famiglia con tempesta . Il cibo è piacere del vivere in Asia; da soli o in compagnia, ci si nutre e si gusta. “L’Oriente in ogni ciotola di riso” potremmo dire. Quando una opera, in ciascun suo elemento, è latrice di specificità culturali, ciò va sempre lodato. Nel cinema di Hirokazu Koreeda si palesa film dopo film quella natura antimoderna che gli asiatici hanno nel DNA: vivono la globalizzazione, la subiscono, eppure mangiano ostinatamente con le bacchette!
Voto: 7,5