Necessario è riuscire a guardare un po’ oltre, al di là del contingente. La vera sfida della modernità, che tutto arde e consuma nei fuochi fatui dei tormentoni, è proprio nel recuperare una visione d’insieme. Per questo la disanima che Paolo Isotta fa dell’Italia di oggi è molto più che interessante. Isotta, da gigante qual è, sa bene che non c’è alcuna cesura netta tra presente e passato e ci insegna quale sia il senso della cultura e quello di identità nazionale: quello di educare alla libertà garantendo l’esistenza stessa dei popoli.
Intervistato da Rosalba Ruggeri per Zazà su Radio Tre, lo scrittore e storico della musica, partendo dal destino del napoletano Gerardo Marotta, prima scordato e poi onorato (ma solo post mortem) spiega: “Questa città, ma soprattutto questa nazione quasi sempre non è degna dei suoi grandi uomini. Marotta è stato fatto affondare nei debiti, ha dovuto alienare il suo patrimonio personale per sostenere la sua fondazione, non c’è dove mettere la biblioteca dell’Istituto italiano di studi filosofici. È una cosa terribile”.
Isotta fustiga le (sedicenti) classi dirigenti italiane elencandone vizi e limiti: “Ora citiamo un meraviglioso testo in prosa di Leopardi, il Discorso sopra i costumi attuali degli italiani. Leopardi fa una diagnosi spietata della società italiana e secondo me nulla è cambiato da allora. Noi abbiamo una borghesia cinica, arrogante, ignorante, prevaricatrice che non ha mai saputo obbedire al compito storico al quale era stata chiamata. Poi abbiamo minoranza infima di borghesia illuminata, lasciata sola e che nulla riesce a fare per la nostra Patria”.
E aggiunge: “La vera unità di Italia non si è avuta nel 1861 ma solo con il sacrificio di tutte le plebi settentrionali ma soprattutto meridionali che sono state mandate al macello nella guerra del 1915-18. E si è avuta con il sacrificio della parte migliore della borghesia quella che ha sacrificato i suoi migliori figli che sono tutti morti. Questo a una cosa era servito: a creare un’identità nazionale. In qualche modo i fascismo, in parte ne è stato erede e in parte l’ha tradita e quindi è venuto meno al suo compito storico anch’esso ed è giusto che sia caduto e che sia giusto che non venga rimpianto. Tutto questo è stato inutile”.
Isotta spiega il perché: “Ammettiamo anche la parte migliore della Resistenza sia erede degli ideali che avevano portato tanti a morire nella prima guerra mondiale. Anche questo è stato inutile. Dalla Resistenza è venuta fuori una costituzione che abbiamo difeso ancora negli ultimi mesi al referendum e poi una ricostruzione dell’Italia negli anni ’50 e ’60 che è stata una cosa meravigliosa. E poi? Adesso tutto questo è diventato Il nulla”.
Le conseguenze sono disastrose e spiegano la rotta intellettuale politica e culturale del nostro Paese: “Oggi non abbiamo più cultura né difesa della cultura. La vita letteraria scade, quella musicale è veramente di basso livello. Io credo che l’attuale classe politica, tutta e senza eccezioni, non si rende conto che una nazione senza memoria storica, senza identità culturale è una nazione priva di carattere e priva di identità. Un popolo che non ha più identità nazionale è destinato al nulla, potrà essere un’accozzaglia di coabitanti ma non potrà essere una nazione. La cultura – conclude Paolo Isotta – è uno strumento unico per interpretare la realtà. È l’unica educazione alla libertà che veramente serva. Per quale ragione gli italiani adesso sono nello stesso tempo vili, servi del potere e vanno dietro ai demagoghi protestatari che li illudono? Perché non hanno cultura e non hanno nessuna autentica educazione alla libertà”.