L’esito del voto francese ha inevitabilmente aperto un vespaio di opinioni soprattutto nel mondo della più o meno destra italiana. Alcuni interventi e appelli li abbiamo trovati molto interessanti e condivisibili, sono quelli che provengono principalmente da un’area più metapolitica. Altri, invece, sono davvero deprimenti e non dev’essere un caso se certi infelici giudizi li leggiamo da parte di esponenti partitici. Se vogliamo trarne un bilancio, però, non sembra che da questo dibattito possa nascere un progetto serio e condiviso che riesca a dare forza ad un’area politica alternativa sia al fronte liberal-progressista, rappresentato da Pd e affini trasversali, sia al populismo italiano che in Italia si è cristallizzato perfettamente nel Movimento 5 Stelle.
Il movimento populista è ormai una realtà di questa nuova epoca ma è caratterizzato da un’ampia eterogeneità: non è possibile paragonare Trump agli spagnoli di Podemos così come non è possibile associare il Front National della Le Pen al movimento Syriza in Grecia oggi al governo con Alex Tsipras e così via. Troppo spesso con questa parolina – populismo – si rischia di cadere nella trappola del mainstreaming facendo un grande minestrone senza però aggiungere il sale per dare armonia ai sapori. Il risultato è una schifezza immangiabile, utile solo alle forze del pensiero unico per orientare le opinioni della massa attraverso un sapiente e pervasivo uso dei mass media. Proviamo a fare quindi ordine aggiungendo un pizzico di sale.
Quando noi impertinenti parliamo di populismo in Italia lo individuiamo sempre e solo nel movimento di Grillo e Casaleggio escludendo così sia la Lega Nord che Fratelli d’Italia. Il motivo è presto detto: i risultati elettorali, sia alle politiche che alle amministrative, hanno sancito definitivamente il M5S non solo come realtà politica ormai matura ma anche come riferimento di tutta l’area populista. Non ci può essere spazio per altri. Se una certa “destra” italiana oggi vuole tornare ad essere protagonista e competitiva deve aggredire altri spazi culturali ed un altro elettorato che ad oggi sembra non avere rappresentanza. Parliamo, ad esempio, dell’enorme bacino del popolo dei Family Day, che certamente non può affidarsi alle posizioni laiciste sia dell’area progressista sia dei grillini, così come dei tanti italiani che non si recano più alle urne.
C’è un’Italia, oseremmo descriverla come nazional-popolare, che attende di essere intercettata e rappresentata, un’Italia che ancor prima di avere esigenze sociali ha dei sentimenti che sono anima costitutiva del Belpaese e sui quali in passato è stata costruita la sua fortuna. È questo lo spazio che bisogna occupare e per farlo, insieme ai programmi, ha bisogno di un rinnovamento totale dei suoi linguaggi. La comunicazione è l’unica chiave vincente e, considerato che non si hanno importanti disponibilità mediatiche, urge riuscire a far breccia nei sentimenti degli italiani con un linguaggio capace di suscitare nuove suggestioni. Non è facile ma è la sfida del presente per il futuro. Alcuni termini che continuiamo a leggere ci sembrano assolutamente inappropriati perché troppo equivoci, poco comprensibili o facili preda dalle manipolazione mediatiche. La parola destra (peggio centro-destra) è assolutamente insignificante e non rappresentativa visto che lo scontro politico non è più orizzontale ma verticale (fra elites e popolo), inoltre spesso richiama troppi imbarazzi ancora recenti; populismo, come sopra motivato, è da escludere perché è un’area già occupata; comunitarismo non è di facile fruizione; sovranismo si presta ad una strumentale sovrapposizione con nazionalismo e quindi con fascismo (che dev’essere storicizzato non rinnegato) diventando facile preda delle storpiature mediatiche; rivoluzione conservatrice non sembra essere una formula affascinante e anche in questo caso richiama un passato deludente.
Bisogna ancora cercare formule nuove e vincenti e in questo sarà fondamentale l’azione culturale di tutto quell’ambiente metapolitico che da tempo è impegnato a mantenere realmente viva un’area politica alternativa, anche incontrando realtà differenti ma ormai vicine come quella di Diego Fusaro. Intellettuali, giornali on-line, case editrici, associazioni e comunità sono chiamate a questo lavoro di rinnovamento linguistico insieme a quello dell’approfondimento culturale e dell’analisi critica, possibilmente in un’azione di rete. Sarà, infatti, solo questa forza ad intercettare le passioni popolari e a poter condizionare partiti e movimenti politici oggi troppo distratti dalla conta degli scranni. Il seme per una nuova stagione politica maggioritaria e di governo è racchiuso nell’azione prepolitica, iniziamo insieme la semina!
*Da www.stanza101.org