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Home Cultura

Festival Cortemaggiore. Perché riscoprire il “Perimetro dell’Occidente”

by Karl Evver
27 Marzo 2017
in Cultura
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Una torre di avvistamento nell'isola di Chios
Una torre di avvistamento nell’isola di Chios

Da domani, a Cortemaggiore il festival “Perimetro dell’Occidente”. Ecco l’articolo con cui presentiamo la manifestazione

In un’epoca come la nostra, violentemente segnata da un universalismo in cui la politica pare cercare il suicidio delle nazioni e tanta parte del ceto intellettuale rinuncia al dovere del dubbio e dell’analisi, cominciare a ripensare cosa significhi essere occidentali è un primo gradino per risalire dal pantano e cercare di discernere un orizzonte.

Perfino i decenni plumbei e irosi della Guerra Fredda sono stati meno pericolosi dell’odierno universalismo per la conservazione della civiltà: la loro stessa ossessiva dialettica del Qui e Là, del Noi e Loro, della Libertà e del Gulag comportò a lungo, certamente, un impoverimento della retorica parlamentare, del discorso pubblico e del giornalismo, ma non avvilì né distorse la percezione dell’Altro e la definizione di Sé con la potenza invece dispiegata nella gara in corso a chi più dissolve il senso della comunità, della convivenza, delle differenze.

Perimetro dell’Occidente, il festival che sarà ospitato dal Teatro Duse di Cortemaggiore (PC) il 28, 29 e 30 marzo, intende essere una piccola, ambiziosa, plurale riappropriazione del nostro passato e delle tante radici che lo compongono. E saremmo incerti se definirlo il numero zero, per la baldanza, l’azzardo e l’ottimismo con cui è stato pensato e organizzato in appena due mesi, o il numero 1, per la palese volontà dei suoi ideatori di ripeterlo, rafforzarlo e sempre meglio connotarlo nelle primavere future.

Si comincia comunque, senza reticenze, proprio dalla parola più caricata di oltraggio e imputazioni dei nostri tempi: Occidente. Sandro Giovannini indagherà le tante accezioni assiali, geografiche, storiche e metaforiche di questa parola, portando la riflessione fino alla domanda se essa possa ancora servirci, se sia tuttora dotata di proficuo valore semantico ed emotivo, o non sia invece un rottame lessicale cui dovremo volenti o nolenti sostituire una nuova rappresentazione di noi stessi.

L’editoria — quella minore nei fatturati ma maggiore nel coraggio e nei meriti culturali — sarà celebrata in ogni edizione del festival. Ottimo segno ci pare che si inizi, quest’anno, con Giovanni Volpe (1906-1984), che seppe lungamente e signorilmente tenere alta la bandiera di scelte spirituali e politiche non conformistiche: parlerà di lui e della sua intelligenza di editore Maurizio Cabona, che, giovane intellettuale, trovò in Volpe Editore una “casa” in cui essere se stesso liberamente e senza paura. Una casa in cui trovarono ospitalità scrittori di pregio e non di comodo quali Brasillach e Maurras, Panfilo Gentile e Adriano Romualdi, Horia e Bardèche.

Delle innumerevoli concezioni della Natura che l’architettura occidentale ha abbracciato, contrapponendola o mescidandola all’artificio e alla costrizione, tratterà invece Anja Werner, guidandoci attraverso le tante declinazioni del Giardino, dalla nostalgia edenica giù giù fino alla mera scenografia attorno alla casa e al benessere del singolo.

Sul paesaggio si concentrerà anche l’analisi di Elena Pontiggia: ma il paesaggio fermo, sintetico, onirico, dinamico della Pittura del secolo alle nostre spalle, di cui Pontiggia — impareggiabile novecentista — è una delle interpreti più agguerrite e più lontane da qualunque schermatura ideologica, da ogni cautela accademica.

Sarà poi il turno di Sergio Signorini, che si soffermerà sulla vicinanza tanto spesso pavidamente occultata di architettura e scenografia, e sull’antica, commovente illusione umana di superare la transitorietà delle scene per giungere a una sorta di divina perennità della visuale architettonica.

A chiudere assai opportunamente il festival — ospitato, ricordiamolo, dal Teatro Duse della piccola città ideale emiliana — sarà un recital di brani dannunziani portati in musica dai migliori esponenti della Modernità post-decadentistica: Casella, Mascagni, Pizzetti, Respighi e Zandonai. Un’estetica musicale lievemente spostata in avanti rispetto alle radici e agli atavismo di D’Annunzio, e proprio per questo di sottile seduzione, oltreché assai ingiustamente poco nota al grande pubblico rispetto al gusto facile di un Tosti.

Per l’edizione 2018 di Perimetro dell’Occidente è prevista la pubblicazione degli atti del convegno di quest’anno: una fiducia nel libro, e nell’utilità del persistere della conoscenza cartacea accanto al trionfo della comunicazione digitale, che conferma l’ottimistica volontà degli organizzatori di celebrare le tante, profonde tradizioni che hanno tessuto la cultura occidentale, senza chiudere gli occhi di fronte alla colossale sfida della sopravvivenza di questo tessuto in tempi come i nostri, morsi e graffiati a fondo da tribalismi, tiepidi nichilismi e un demenziale internazionalismo.

@barbadilloit

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