Il filosofo dedica al poeta un libro: così Stefano Zecchi ricorda a Giuseppe Conte “le battaglie culturali vinte e perdute.” Ma c’è una consapevolezza: le battaglie intellettuali non sono finite. Le vittorie degli altri hanno consumato la realtà credendo nell’illusione europeista di poter unire tutto e tutti. Allora, il filosofo guarda indietro ai pensatori che annunciano le debolezze occidentali e propongono una rigenerazione della cultura europea. Ovvero pensatori mai sedotti dalle magnifiche sorti e progressive, “uomini celebrati ma inascoltati”, ossia “Guénon e Splenger, Ernst Jünger, Gottfriend Benn, Ezra Pound e il giovane Nietzsche.”
Da qui comincia Stefano Zecchi nel recente “Paradiso Occidente. La nostra decadenza e la seduzione della notte.” Il suo è un bilancio filosofico che analizza la malinconia occidentale contemporanea. Il suo è un pensiero critico nei confronti del progressismo di moda che propone “la concessione dei diritti collettivi ai gruppi etnici del terzo mondo”, proprio ai gruppi che non desiderano convivere con la cultura dei diritti. Nel capitolo “Multiculturalità” emergono domande per questi giorni di sangue versato nelle città europee, “Il progetto di una società multiculturale, in cui rientrano popolazioni con religioni e modelli di vita in aperto contrasto con la tradizione liberale e democratica occidentale, non è incompatibile con una società fondata sui principi della difesa rigorosa della libertà individuale?”
I bersagli polemici sono il multiculturalismo, la globalizzazione, la cultura liberista internazionale che ha castrato i mercati nazionali e ha condotto l’Europa sul precipizio. Allora, in questo quadro di idee, i “pensatori goethiani” che annunciano un’Europa al tramonto qui ritornano: sono attualissimi; sono i primi che spiegano che la crisi nasce dove i paesi perdono sovranità e tradizioni, dimenticano i giorni del dovere. I “pensatori goethiani”? Cioè “da Jünger a Spengler, da Guénon a Heidegger” le menti del Novecento che criticano un continente americanizzato o non più indipendente.
Si è fatto poco, culturalmente e politicamente, per difendere le comunità, per conservare le identità. Lo scrive il filosofo, non il politico leghista. Quindi non resta che il tramonto occidentale? La lunga notte europea? Invece, nelle pagine di Zecchi, soffia il vento della speranza: quella del capitolo “Ricostruire la cultura della bellezza” in cui il filosofo tratteggia un sistema di idee per scongiurare i saccheggi del patrimonio artistico, per proteggere il territorio dalle espansioni edilizie. Non è più il tempo di “un’ideologia economicistica” che consuma le coste e le campagne; è il momento per progettare un piano nazionale di restauro dei centri storici. La lunga crisi libera le menti dall’idea dello sviluppo continuo, indica che i giovani tornano al lavoro nelle campagne, così tentano di reagire alla rassegnazione. Dovrebbe affermarsi pertanto una nuova responsabilità, quella che sappia revocare “a un’ideologia, per decenni dominante, l’organizzazione progettuale dell’ambiente.”
Eppure, non molti anni fa, il ritorno alla natura o alla sua bellezza appariva un discorso reazionario. Zecchi quindi riprende il discorso sulla bellezza auspicando un riscatto dopo decenni di sperimentalismi e improvvisazioni soggettivistiche. A ciò si aggiunge la critica alla bellezza di plastica – “il gaio revival della bellezza” -, in quanto “sentiamo ripetere ai quattro venti la parola ‘bellezza’, come fosse ‘un fai da te’ per rigenerare, donare senso, importanza a questo e a quello: un supermarket del bello per tutte le esigenze, a cui è stata imposta la maschera di un’effimera eticità.”
Piacerebbe vedere Stefano Zecchi con un importante incarico nazionale; e piacerebbe per ridare energie ad un paese che non sa prendersi cura della bellezza. Ma quale bellezza? “Quella che rende l’intenzione, l’azione, la creazione di un impegno etico nel progettare visioni di mondi possibili, quella che è stata fondamento della civiltà occidentale…” All’arte non è possibile chiedere di cambiare il mondo. Però, da sempre, essa esprime una pedagogia sociale che potrebbe riaprire la casa della speranza – “dove responsabilmente si combattono i simboli del nulla” -, dove discutere e progettare un diverso Occidente.
*“Paradiso Occidente. La nostra decadenza e la seduzione della notte”, di Stefano Zecchi (pp. 231, euro 19, Mondadori)