Barbadillo ospita un dibattito sul futuro della categoria della destra. Dopo l’intervento del conservatore Giubilei, una riflessione che richiama invece il peso delle radici novecentesche, nonché rivoluzionarie della destra italiana
Il breve e puntuale intervento di Francesco Giubilei tocca aspetti fondamentali della politica e della cultura a destra, che meritano di essere rapidamente approfonditi.
Nonostante in molti, a ragion veduta, sostengano che destra e sinistra sono categorie vecchie e inadatte a comprendere la politica di oggi, restano pur sempre termini di uso comune a cui è indispensabile quindi dare un significato. Purtroppo sono contenitori che nel corso del tempo si sono svuotati di tutto il patrimonio specifico che li qualificava. Questo non è accaduto per una serie di contingenze imprevedibili, ma per chiare scelte operate da uomini di cultura e politici dell’uno e dell’altro schieramento.
Volendo stringere ai minimi termini la questione, parlare di destra significa in primo luogo un modo di risolvere i problemi, un approccio alla vita comunitaria e individuale, certo non una chiusura a questioni non “di destra”. Non esistono infatti tematiche che appartengano solo a uno schieramento politico, esistono solo uomini capaci di appropriarsene e altri che non lo sono. Si tratta di un approccio attivo e creativo, che va recuperato a 360 gradi.
Il primo gradino da superare consiste nel mettere in soffitta l’idea del centro-destra. Questo è necessario perché si chiudano i conti con la presunta necessità di moderare i programmi e le idee, come se questo nella media e lunga distanza avesse mai portato frutto. La sudditanza culturale nei confronti dei moderati berlusconiani e peggio democristiani, per esempio, ha sprecato anni di governo che potevano essere spesi per costruire, rivendicare spazi, affermare idee e uomini. La sudditanza nei confronti del centro è una zavorra culturale e politica che frena ogni dinamismo e spinge tanti a sussurrare idee che invece hanno la dignità e la grandezza per essere sbandierate con orgoglio. Nel frattempo il M5S ha preso piede e qualcosa vorrà pur dire.
Questa debolezza viene da un grande vuoto creatosi nel tempo, il grande “non detto” con cui la destra italiana sembra incapace di fare i conti tenendo la schiena dritta. Che bolscevismo, maoismo e perfino la Kampuchea facciano parte in un modo o nell’altro della storia politica della sinistra, nessuno lo metterebbe in dubbio, così come non si sentirà mai nessun politico autenticamente di sinistra rinnegare o chiamare certe esperienze “male assoluto”. La solidità che per anni ha permesso alla sinistra di reggere è consistita anche nel fatto di non dover dare spiegazioni agli avversari. Nessuna giustificazione: i panni sporchi si lavano in casa, come si suol dire.
Questo non è accaduto a destra. Da quando si è passati a gamba tesa nel mondo dei moderati si è buttato il fascismo in blocco, rifiutando ogni legame con esso, qualsiasi connessione con un’eredità che appartiene indiscutibilmente alla destra italiana, pure nella sua immensa complessità. Bisogna capire che questo è un elemento di estrema debolezza, che frena dal punto culturale e politico la possibilità di operare una sintesi o sinergia di idee e programmi che sia libera da condizionamenti esterni e in grado di rivendicare un percorso proprio, solido e vitale.
Ha ragione Giubilei, servono programmi ma servono anche uomini coraggiosi che, come Giano Accame, sappiano portare con sé un’eredità storica e culturale senza piegarsi ai rimproveri dei caporioni del politicamente corretto. Se si vuole parlare di sovranità, bisogna in primo luogo essere sovrani di sé e delle proprie idee, dunque non c’è bisogno di chiedere il permesso di pensare e dire cose che, comunque, tutti sanno che pensiamo e diciamo “tra i nostri”. Il ghetto è un fatto mentale indotto da un ingiustificato timore della presunta superiorità altrui.
Tutto questo va lasciato alle spalle una volta per sempre, così da dare spazio al coraggio di pensare le idee, di creare programmi politicamente concreti e di diventare sprone o guida e non stampella di potenziali governi.
Ha ancora senso parlare di destra dunque? Questo dipenderà soltanto dalla capacità degli uomini di destra di riempire di contenuti questa parola. Se questo sarà fatto senza concessioni a condizionamenti esterni, a idee e programmi validi e seri seguirà quasi sicuramente lo spontaneo ricoagularsi delle forze.