Giorgio Napolitano aspetta questa riforma da trent’anni. Eppure quando la propose il centrodestra l’emerito presidente della Repubblica concionò di Costituzione giovane che non andava assolutamente cambiata a colpi di maggioranza. L’ennesima contraddizione, utilizzata dal fronte del sì per rintuzzare l’ala destra di quello del no, ora si ritorce contro Napolitano.
Dagospia, che è sempre un passo avanti, a luglio ha pubblicato l’intervento al Senato pronunciato nel 2005. Undici anni fa, eh. Nel pieno, quindi, della messianica attesa della riforma della carta costituzionale.
Disse cose del genere: “Quel che anch’io giudico inaccettabile è, invece, il voler dilatare in modo abnorme i poteri del Primo Ministro, secondo uno schema che non trova l’eguale in altri modelli costituzionali europei e, più in generale, lo sfuggire ad ogni vincolo di pesi e contrappesi, di equilibri istituzionali, di limiti e di regole da condividere.Quel che anch’io giudico inaccettabile è una soluzione priva di ogni razionalità del problema del Senato, con imprevedibili conseguenze sulla linearità ed efficacia del procedimento legislativo; una alterazione della fisionomia unitaria della Corte costituzionale, o, ancor più, un indebolimento dell’istituzione suprema di garanzia, la Presidenza della Repubblica, di cui tutti avremmo dovuto apprezzare l’inestimabile valore in questi anni di più duro scontro politico”.
E aggiunse: “E allora, signor Presidente, onorevoli colleghi, il contrasto che ha preso corpo in Parlamento da due anni a questa parte e che si proporrà agli elettori chiamati a pronunciarsi prossimamente nel referendum confermativo non è tra passato e futuro, tra conservazione e innovazione, come si vorrebbe far credere, ma tra due antitetiche versioni della riforma dell’ordinamento della Repubblica: la prima, dominata da una logica di estrema personalizzazione della politica e del potere e da un deteriore compromesso tra calcoli di parte, a prezzo di una disarticolazione del tessuto istituzionale”.
Napolitano, quindi, ha cambiato di nuovo idea. Il re delle piroette, delle giravolte che passò dall’elogio dei carri armati sovietici su Budapest a sostenere le ragioni dell’alta finanza internazionale.
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