Ancora una volta, dopo aver terminato la lettura di un ennesimo volume di Massimo Donà, non ho potuto che riflettere su quanto, a proposito del filosofare, ebbe a scrivere Karl Kraus “Spesso la filosofia non è altro che il coraggio di entrare in un labirinto”. Il labirinto è simbolo centrale ed essenziale della civiltà europea, rinvia a Dioniso, potenza divina in qualche modo presente ed evocata dalle pagine di Donà. Simbolo legato agli antichi Misteri, alla Sapienza, come riconobbe Colli, può davvero valere quale segnavia per essere introdotti alle tesi “forti” che il filosofo veneziano presenta nel libro che stiamo per discutere. Ci riferiamo a Dire l’anima. Sulla natura della conoscenza, da poco nelle librerie per i tipi di Rosenberg & Sellier (per ordini: Rosenberg&Sellier@lexis.srl, euro 12,00). Libro importante, concettualmente denso, organico, nel quale la difficoltà di approccio che potrebbero incontrare i non addetti ai lavori, è elusa dall’autore in forza di un’inusitata capacità affabulatoria che rende fluida e vivace la sua scrittura. Il pensatore colloquia, dialoga con il lettore nel “mettere in scena” un momento essenziale di quella che, altrove, abbiamo definito l’Altra filosofia europea. Donà, non c’è dubbio, è uno dei massimi interpreti di tale corrente di pensiero.
In questa circostanza, la “messa in scena” riguarda il momento gnoseologico. Infatti, oggetto di discussione è nientemeno che l’anima, che Carl Schmitt, in Terra e mare, definì la grande esiliata dall’Europa postbellica. La scelta di tale argomento è coraggiosa non solo in sé, ma in relazione al dibattito filosofico, italiano ed europeo, che sterilmente è appiattito su soluzioni analitiche o su stanche riproposizioni “metafisiche”. La posizione di Donà è, rispetto ad esse, davvero ulteriore. Infatti, sia che dell’anima si dibatta nel senso della psiche greca, sia che la si prenda modernamente in considerazione quale luogo (psicanaliticamente incerto) della coscienza, essa è spiegata dal pensatore veneto secondo principi che le sono propri. Il libro, per questa ragione, è un confronto serrato con quei sistemi di pensiero che si sono attardati sul problema della conoscenza nel mondo antico e all’esordio della modernità. Il filosofo discute il De Anima di Aristotele, testo imprescindibile in questo ambito di ricerche, per giungere all’età moderna, gnoseologicamente “organizzata” attorno al grande ripensamento di Kant. Scopo di Donà è mostrare come nel pensiero di Aristotele e Kant si manifesti una sostanziale continuità di prospettive teoriche, nonostante il “formalismo” logico cui il filosofo di Königsberg pervenne. Per aver reale contezza della radicalità delle posizioni di Donà è opportuno muovere da un aforisma di Andrea Emo, filosofo il cui pensiero “ossessivo” e ritornante, sostiene dall’interno la scrittura del nostro autore “Che cos’è il nulla? Il nulla non è un quid; anzi non è; il nulla è ciò che è puramente presente e la presenza è il nulla; è la presenza del nulla “ (Il dio negativo. Scritti teoretici 1925-1981, Marsilio 1989, p. 58).
In riferimento a tale affermazione, Donà ritiene che solo Emo, ancora poco studiato e, purtroppo, poco presente nel dibattito teoretico dei nostri giorni, avrebbe saputo fare del nulla “la perfetta indicazione di quel che propriamente sarebbe presente” (p. 65). Tale asserzione va intesa quale incipit alle analisi della gnoseologia aristotelico-kantiana (non sembri un paradosso) presentate da Donà. In particolare, l’adesione alla tesi emiana consente al nostro autore di rilevare come Aristotele avesse fondamentalmente compreso in qual modo l’elemento ideale, che Platone riteneva potesse essere esperito dal solo intelletto, sia connotato in realtà da un tratto specificamente sensibile. Insomma, prosegue Donà, la sensibilità nello Stagirita “ …per potersi fare percezione di qualità universali, deve presupporre l’oggetto quale vera e propria res individuale” (p. 21). Per questo, nell’anima il Nous è sempre connesso al momento sensibile. Su tale aspetto, Kant è in sintonia con la posizione aristotelica, tanto da sostenere che i sensi non ingannano e attribuire, al contrario, fallibilità alla facoltà intellettiva. In questa stessa prospettiva non è casuale che Plotino richiami la sensibilità aristotelica per “…per definire l’esperienza metafisica più alta che all’uomo sia concessa: l’ek-satsi” (p. 18). Non sempre però i pensatori che sostennero tale posizione ebbero consapevolezza delle conseguenze teoretiche in essa implicite.
Donà si è così caricato di un compito gravoso: ridefinire le forme del conoscere. Egli è cosciente che la domanda fondamentale che ha preceduto da sempre l’interrogazione filosofica occidentale era indotta dalla “meraviglia” nei confronti del molteplice, mentre nella sua prospettiva la “meraviglia” nasce di fronte al medesimo, al negativo ritornante “All’anima…appare anzitutto evidente l’imprescindibile costituirsi…di una vera e propria, nonché inarticolabile, identità” (p. 37). La domanda fondamentale, in Emo e Donà, diviene interrogazione intorno all’uno (al minuscolo) che “…sempre e solamente (non) è” (p. 37). Ciò ribalta la consueta prospettiva di ricerca: la fatica del concetto non deve più inseguire l’uno, ma i molti. L’uno infatti non rinvia al meta-logico, al meta-fisico, ad una dimensione ulteriore, ma si dà, in quanto negazione originaria che non può che negarsi nella effimera positività della presenza. E’ questo mondo a costituire l’inaudito, suggerisce il filosofo, in sintonia con un altro aforisma di Emo, che crediamo giustifichi il nostro richiamo a Dioniso “Pagana è la fede che lo scopo e il senso della vita sia nella vita stessa” (Quaderni di metafisica 1927-1981, Bompiani 2006) . Donà realizza, a tutti gli effetti, una destrutturazione della “rivoluzione copernicana” di Kant in gnoseologia, ponendosi in posizione altra anche rispetto alle apologie dell’evento, all’interno delle quali con il costituirsi del soggetto, torna in scena la contrapposizione distintiva rispetto all’oggetto. Con Hegel, l’autore sa che “…ogni realtà è da intendersi come soggettiva ed oggettiva “in uno” (p. 59), recuperando al pensiero il sapere ermetico e il suo assunto essenziale: ogni cosa è “capace di conoscenza”.
Questo volume, conclusivamente, è latore del rovesciamento delle strutture concettuali dell’intera filosofia occidentale. Spazio, tempo, qualità, quantità, relazione e modalità vanno ripensati a partire dal negativo che li significa dall’interno (rilevantissime le note inerenti spazio e tempo). I pensatori contemporanei, anche i più accorti e profondi, non sono riusciti a tanto, perché sono rimasti imbrigliati nei lacci della concettualità metafisica, diairetica, anche quando pensavano di essersene liberati! Solo la significazione del negativo, proposta da Donà, può “dare vita alla strutturazione di un impianto gnoseologico finalmente fondato sull’evidenza dell’identico” (p. 68), irrinunciabile ragione “per un sempre possibile nuovo inizio” (p. 74).
*Dire l’anima. Sulla natura della conoscenza, di Massimo Donà per i tipi di Rosenberg & Sellier, euro 12 (per ordini: Rosenberg&Sellier@lexis.srl)