Lo schermo immaginario: scritti cinematografici fuori dal coro, così si intitola l’ultima fatica editoriale di Riccardo Rosati, anglista, francesista, museologo e studioso di lingue e tradizioni orientali, con all’attivo numerose pubblicazioni che spaziano fra i suoi molteplici interessi.
L’opera si presenta come un ensemble degli scritti dell’autore sul cinema prodotti in quattordici anni di intensa attività, tra recensioni e saggi apparsi su riviste come Barbadillo, Enchanted Lands, Film e DVD, Hong Kong Express, Quarto Potere, Spazio Film, Taxidrivers. Nell’introduzione l’autore non fa mistero – anche “un po’ arrogantemente”, afferma – di come l’intento dell’opera sia di contribuire ad inaugurare un altro modo di fare critica cinematografica, lontano da quello posto in atto dai modaioli “critici festivalieri”. È a una critica da veri e propri “studiosi di cinema” che si anela in queste pagine, una critica che richiede la stessa gravosità richiesta dagli studi filosofici, letterari e linguistici.
Non a caso già nel titolo Rosati fa riferimento ad una critica “fuori dal coro”, scevra da compromessi con l’asfittico panorama della critica cinematografica nostrana, popolato da soloni il cui unico obiettivo è orientare i gusti del pubblico secondo i loro propri gusti d’essai.
Il fil rouge che sottende queste pagine è infatti il dispiegarsi della lotta fra cinema d’autore e quel che molto sbrigativamente è stato definito B movie, che in un certo senso caratterizza la storia del cinema sin dagli albori, quando ad essere contrapposti erano il realismo dei fratelli Lumière e la fantasia di Georges Méliès e ripresentatasi più volte nel tempo, assumendo col pensiero del filosofo marxista György Lukács i toni dell’invettiva contro ciò che non obbediva ai canoni marxisticamente stabiliti di “realtà”.
Paradigmatica in tal senso, per quel che concerne il panorama culturale italiano, risulta essere la vicenda che riguarda Il signore degli anelli di Tolkien, clamorosamente ostracizzato dagli scranni della cultura dominante, quella di sinistra, e pubblicato solo da coraggiose case editrici gravitanti attorno al mondo degli studi tradizionali: ad Elémire Zolla si deve, ad esempio, l’introduzione dell’edizione Rusconi del 1970. Singolare è come l’interesse all’opera da parte dell’intellighenzia sinistrorsa nostrana si sia manifestato solo dopo che anche la cinematografia d’oltre oceano ne aveva riconosciuto il merito. Si pensi a Wu Ming 4, il quale derubricando a mere letture ideologicamente orientate le interpretazioni, ad esempio, di un de Turris, che ha visto nell’opera una metafora di un cammino iniziatico sulle orme della grande tradizione favolistica millenaria europea, o quelle più “confessionali” e cattoliche di Gulisano, si è cimentato in un’astrusa e svilente critica del testo pur di appropriarsi indebitamente di ciò che in effetti è anni luce lontano dal suo retroterra culturale.
Ma quello al mito e alla leggenda è un desiderio ineludibile dell’animo umano, ed ogni forma d’arte ha sempre espresso questa tendenza, sin da quando i primi uomini si radunavano attorno al fuoco la sera e cantavano la realtà divina del cosmo e creavano cosmogonie per spiegarsi l’Origine. Il cinema, la Settima Arte, o se vogliamo, il miglior cinema, non dovrebbe far altro – e questo è anche il pensiero di Rosati – che portare innanzi questo discorso narrando della lotta dell’uomo contro il Male e la morte, l’imprevedibile magia del vivere, ponendoci in contatto con le strutture profonde della nostra vita psichica.
Dunque, un’ottima occasione per riflettere, appunto, “fuori dal coro”, questo libro, che è soprattutto un viaggio nell’immaginario popolare degli ultimi lustri.
*“Lo schermo immaginario: scritti cinematografici fuori dal coro” di Riccardo Rosati, presentazione di Annarita Curcio, postfazione di Antonio Tentori, pp. 184, euro 14,00, Tabula fati