Guglielmo Epifani è il nuovo segretario del Pd, almeno fino al prossimo congresso. Ma cosa rappresenta la sua elezione? Diciamo subito che con Epifani è la prima volta di un sindacalista che diventa segretario, almeno per quel che riguarda la tradizione che viene dalla sinistra. Se, infatti, i socialisti e i cattolici hanno avuto almeno una volta un leader di provenienza sindacale (si pensi a Franco Marini o a Ottaviano Del Turco), gli ex Pci-Pds-Ds hanno sempre preferito la soluzione più ‘politica’. Negli ultimi trent’anni, solo due sindacalisti della Cgil furono in odore di segreteria. Il primo fu Luciano Lama, dopo la morte di Berlinguer, per il Pci; il secondo, invece, fu Sergio Cofferati che era stato lanciato nel 2002 come leader di tutto il centrosinistra. Un caso a parte è stato Fausto Bertinotti che veniva sì da sindacato, ma che è stato segretario di un partito troppo diverso dal Pci e dalla sua tradizione.
Se si osserva questa scelta da un punto di vista teorico, è opportuno non dimenticare due aspetti che caratterizzano, in generale, la figura di un sindacalista. Il primo è che il sindacalista ha una visione necessariamente corporativa ed economicista della realtà, indispensabile per difendere al meglio chi rappresenta, ma che è riduttiva rispetto alla complessità della politica. Il secondo, invece, è che il sindacalista ha sempre una funzione riformista portata alla ricerca dell’accordo, alla chiusura del patto, del contratto ecc.
L’ex segretario della Cgil, che è persona intelligente ed equilibrata, sa che il ruolo politico del segretario di partito deve oltre queste due tendenze e che la rappresentanza politica è diversa da quella sociale. Il fatto che egli sia espressione di culture politiche più solide, come quelle del socialismo e del riformismo italiano, fanno ben sperare sulla capacità di svolgere al meglio questo compito.
L’ascesa alla segreteria di Epifani ha, però, un altro effetto che forse è il più importante: mantiene il Pd su posizioni di sinistra lasciandolo, per ora, al sicuro dalle incursioni nuoviste, liberiste ed estroverse che, dopo l’uscita di Bersani, hanno iniziato a scaldare i motori. Con lui, infatti, si mantiene la cultura del socialismo europeo, si pone il “lavoro prima di tutto”, si difende il rapporto tra partito e sindacato e l’idea che l’organizzazione sia un valore essenziale, assieme al radicamento e all’identità, per intraprendere la lotta politica.
Sono tutti elementi che aveva introdotto Bersani, ma che in buona parte erano rimasti sulla carta. Nel partito rimangono, tuttavia, molti nodi non sciolti che sono un ostacolo per il nuovo segretario e che perpetuano la condizione di “spazio politico”. Una condizione precaria e difficile che forse Epifani potrebbe trasformare a suo vantaggio, lanciando egli stesso la candidatura al congresso. Senza dimenticare che alcuni di quelli che lo hanno voluto segretario pro tempore lo hanno fatto con la speranza di bruciarlo prima che diventi un competitore troppo forte. Vedremo come finirà.