È il prototipo del libertino per antonomasia, un uomo divenuto leggenda per i suoi amori e viaggi avventurosi, ma anche per i suoi problemi con la giustizia. Ad un occhio miope potrebbe sembrare l’antesignano del nostro Corona, e per certi versi, soprattutto per la sua spregiudicatezza e disinvoltura mostrata tanto con le donne quanto con le vittime dei suoi raggiri, il paragone regge. Ma Casanova fu ben altro: avventuriero, scrittore, poeta, alchimista, violinista, diplomatico, filosofo, agente segreto. Un uomo che pur essendo quasi in tutto un dilettante, un outsider, ebbe a giocarsela alla pari con i grandi del suo secolo: da Voltaire, che reputò sempre il suo maestro di filosofia, ma che avrebbe preferito non conoscere di persona com’ebbe a scrivere in un suo infervorato libello, a Rousseau del quale detestava l’egualitarismo, all’enigmatico Cagliostro col quale ebbe a confrontarsi e a scontrarsi circa intricate questioni alchemiche, al patriziato della Serenissima dal quale fu protetto ma al quale proprio come alle donne fu sempre infedele, a Mozart e Da Ponte – di cui fu amico – che certamente dovettero ispirarsi a lui per il libretto del Don Giovanni, a Caterina II di Russia e Federico II di Prussia ai quali propose riforme.
Figlio di due poveri comici, ma dotato di intelligenza acuta e vivace, per proseguire gli studi dovette indossare l’abito di abate. Allo stesso modo, durante un viaggio a Lione, Casanova aderì alla Massoneria, non tanto per inclinazioni ideologiche quanto piuttosto per motivi molto più pragmatici: procurarsi utili appoggi e continuare a condurre i suoi viaggi per l’Europa, dato che la Massoneria costituiva una fitta rete di relazioni diplomatiche un po’ dappertutto. Casanova visse a lungo in Francia, la patria dei fermenti illuministi e rivoluzionari, e incontrò personalmente molti protagonisti del movimento illuminista tra cui Voltaire e Rousseau. Frequentò inoltre membri dell’oligarchia aristocratica dominante appartenenti all’ala progressista. Malgrado ciò, fu sempre ed ebbe sempre a definirsi un fiero conservatore, legato a doppio filo con la classe nobiliare della Serenissima cui non apparteneva ma si sentiva di appartenere ritenendosi il figlio naturale del patrizio veneziano Michele Grimani.
Ebbe a criticare le idee del Montesquieu espresse nei confronti dell’iniquo sistema dell’ancien régime e riteneva che, pur con qualche modifica, un governo aristocratico fosse il migliore possibile. Allo scoppio della Rivoluzione francese, di cui fu spettatore, ma defilato, in quanto, quando cadde la Bastiglia, era ormai da tempo lontano da Parigi svolgendo mansioni di bibliotecario per il conte Waldstein in Boemia, e nel periodo che seguì, scrisse numerosissime lettere – come riporta il suo biografo Pietro Chiara – in cui ebbe recisamente a scagliarsi contro il fervore e la violenza dei giacobini, non riconoscendo in essi alcuna ascendenza dal movimento illuminista. «Il popolo è un mostro!» dirà tranchant. E, in un passo delle Memorie, così si espresse: «Ma si vedrà che razza di dispotismo è quello di un popolo sfrenato, feroce, indomabile, che si raduna, impicca, taglia teste e assassina coloro che non appartenendo al popolo osano mostrare come la pensano.».
Nel 1989, in occasione del bicentenario della Rivoluzione francese e nel tentativo di reinterpretarla dando voce ai suoi avversari, fu recuperato e diffuso un inedito di Casanova, il Ragionamento di uno spettatore dello sconvolgimento della monarchia francese a seguito della Rivoluzione del 1789, da Fulvio Luccichenti per Laterza in una antologia di Testimoni italiani della Rivoluzione.
Singolare resta la vicenda delle sue Memorie. Proprio il suo pensiero controcorrente circa la Rivoluzione dell’89 ebbe a ritardarne la fortuna: l’Histoire era all’epoca e per qualche decennio più tardi assolutamente impubblicabile. Non è un caso che la prima edizione francese del manoscritto, acquistato dall’editore Friedrich Arnold Brockhaus di Lipsia nel 1821, fu pubblicata, dal 1826 al 1838, in una versione notevolmente rimaneggiata da Jean Laforgue, il quale si prese la briga non solo di “purgare” l’opera, sopprimendo passi ritenuti troppo audaci per la rigida morale dell’epoca, ma intervenne a man bassa modificando anche l’ideologia dell’autore, facendone una sorta di giacobino avverso alla società nobiliare. Ciò non corrispondeva a verità, perché Casanova fu sì un ribelle, ma politicamente rimase per tutta la vita un fautore dell’ancien régime, come dimostrano chiaramente il suo epistolario, opere specifiche e la stessa Histoire.
Casanova fu sì edonista, giacque su molti petti, ma non abbandonò mai il seno casto di Santa Madre Chiesa. Da vero libertario fu aristocratico, e nella sua geniale sregolatezza seppe essere uomo d’ordine. Fu fedele all’assunto che il dolore moltiplica il piacere, e per questo riteneva che le passioni per restar tali dovessero essere guidate e talvolta punite.