Il 17 ottobre è una data che consente in un’unica scheda di ricordare tre studiosi che si sono occupati di antichità e di archeologia: l’italiano Pericle Ducati, il tedesco Franz Altheim e il finlandese Yrjö von Grönhagen.
Franz Altheim morì il 17 ottobre 1976 a Münster, in Westfalen. Era uno storico dell’antichità, filologo classico e storico dell’arte.
Dal padre, pittore di talento, aveva ereditato uno stile di vita bohèmien, l’amore per la campagna e il disprezzo per le miserie piccolo-borghesi.
Ancora adolescente era rimasto orfano: il padre sconvolto per l’abbandono da parte della moglie si era sparato il giorno di Natale del 1914. Franz aveva sedici anni, tre anni dopo si arruolò per partecipare alla guerra mondiale ma anziché finire nelle trincee fu inviato in Turchia come traduttore. La scoperta di quel confine tra Europa e Asia lo affascinò e fu determinante per le sue scelte di vita successive.
Al termine della guerra, dopo la disfatta degli Imperi centrali cercò di percorrere le vie artistiche del padre dedicandosi alla scultura e contemporaneamente all’Università studiò Filosofia, Archeologia e Linguistica, tutte attività che per forza di cose però furono secondarie rispetto alla ricerca di un salario che gli consentisse di vivere, finendo così col fare l’impiegato di banca.
Grazie ad una borsa di studio fece un primo viaggio in Italia; Paese che visiterà ripetutamente per i suoi studi sul mondo antico.
Laureatosi con uno dei grandi della Storia antica, il prof. Walter F. Otto, nel 1928 entrò come assistente nella prestigiosa Goethe-Universität di Frankfurt am Main dove conobbe Leo Frobenius, uno dei più celebri antropologi africanisti dell’epoca del quale divenne amico. Diventato a sua volta docente universitario a Frankfurt, frequentò l’esclusivo George-Kreis, l’elitario circolo intellettuale che si riuniva attorno al poeta Stefan George; a fianco dell’impegno culturale ci fu anche quello politico, inteso in senso militante: fu membro delle SA.
Questa militanza politica non lo favorì in alcun modo dopo la formazione del Governo nazionalsocialista. Nonostante le “lacune politiche” palesi nel suo scrivere della storia antica senza occuparsi di problemi razziali, il ministero gli confermò la cattedra universitaria.
Dopo un primo matrimonio con una docente di Latino e Greco, Altheim si legò a Erika von Nehring-Trautmann, una bellissima e anticonformaista giovane che nell’agosto del 1936 il prof. Frobenius gli aveva inviato come collaboratrice nelle sue ricerche in Italia, in Val Camonica.
Erika, discendente di Johann von Nehring, il famoso architetto prussiano del XVIII secolo (progettista anche del castello di Charlottenburg a Berlino) era giunta agli studi storici attraverso un percorso inusuale, dalla Scuola di Belle Arti di Berlino a disegnatrice di moda per uno dei couturiers più noti in Germania, Otto Ludwig Haas-Heye con un salto poi come disegnatrice nell’Istituto di ricerche in morfologia culturale, fondato da Leo Frobenius. Ma il suo campo di ricerca e di specializzazione restò quello dell’arte rupestre.
Assieme a lei Altheim scrisse un libro sulle rune “Kimben und Runen” (1942) e altri studi.
Nel 1937 ad Altheim fu assegnata la cattedra di Filologia classica nell’Università di Halle. A 39 anni era già un’autorità internazionale nel campo degli studi sulla Roma antica e la storia della lingua latina. Ma i suoi studi erano sul campo: grande viaggiatore divenne anche membro dell’Ahnenerbe – la Società per le ricerche ancestrali, Istituto di studi espressione di una delle correnti culturali del nazionalsocialismo – per la quale ebbe vari incarichi di ricerca, assieme ad Erika. In questo ambito, e proprio su incarico dell’Ahnenerbe Altheim ed Erika Trautmann compirono un viaggio di tre mesi nel 1938 che li condusse in vari Paesi dell’Est Europa e poi in Medio Oriente, da Beirut a Bagdad a Damasco. Ufficialmente un viaggio di ricerca al quale furono associate anche importanti relazioni politiche con movimenti e personalità vicine al nazionalsocialismo. Ne citiamo alcune: in Transilvania dove la coppia dopo essersi mossa tra le rovine della Dacia, a Bucarest incontrò esponenti della Guardia di Ferro, non i previsti colloqui con i professori Dumitrescu e Christescu, “misteriosamente spariti”, ovvero arrestati dalle guardie di Re Carol, ma riuscirono a incontrare Constantin Daicoviciu, direttore dell’Istituto di studi classici e considerato uno dei maggiori studiosi romeni dell’Antichità e Grigore Florescu, direttore del Museo di Bucarest e genero del principe Cantacuzino. Poi la missione politica della coppia si spostò a Istanbul, ad Atene ed infine nel Medio Oriente. Tra i tanti contatti, i più importanti furono quelli stabiliti a Bagdad, sia rapporti riservati che pubblici con esponenti di Al-Futuwwa, l’organizzazione giovanile di tipo fascista del movimento Nadi al-Muthanna che l’anno successivo inviò una sua delegazione al congresso di Norimberga del NSDAP. In Irak la coppia fu accompagnata anche da capi beduini tra le rovine di Hatra e in pieno deserto ad Altheim fu attribuito il rango di sceicco a titolo onorifico. Il loro viaggio si concluse a Palmira dove ebbero la sorpresa di incontrare arabi che veneravano Hitler e Mussolini come dei santi…. Il dettagliato rapporto che Franz Altheim redasse al termine del viaggio fu importantissimo per le relazioni politiche e strategiche del Terzo Reich nell’area.
Nel 1945, dopo la fine della guerra gli fu tolta la cattedra universitaria e dovette subire i processi di “denazificazione”.
Tornò ad insegnare Storia antica nell’Università dal 1948, dapprima a Halle e poi, dal 1950 nella Freien Universität di Berlino.
Tra gli editori italiani di Altheim ci furono Feltrinelli e le Mediterranee.
Tra lo studioso Altheim e il secondo del quale ci stiamo occupando, il finlandese von Grönhagen, ci fu un punto di contatto, ambedue fecero parte dell’Ahnenerbe, il centro propulsore degli studi ancestrali del quale da tempo studiosi di diversa provenienza si stanno occupando per ricostruirne le attività, con difficoltà non indifferenti vista la distruzione quasi totale della documentazione in proposito e il lavacro nel quale anche i luoghi storici sono stati passati fino a renderli asettici. Chi scrive questa “effemeride” può portare la propria testimonianza in proposito avendo avuto occasione negli anni ’60 e ’70 di soggiornare nel castello che fu il principale di quelli dell’Ordine (Ordensburger), il Wewelsburg, fatto a forma di freccia e nel quale si svolgevano le cerimonie più importanti. Ridotto a ostello per la gioventù – per questo era possibile dormirci e fare colazione – c’era anche una sorta di museo al suo interno, che però aveva reperti solo fino al 1932 come se la storia tedesca si fosse fermata a quella data.
Yrjö von Grönhagen è morto il 17 ottobre 2003 a Helsinki, finlandese, era nato 92 anni prima a San Pietroburgo quando la Finlandia era un Granducato parte dell’Impero Russo. Il padre, giornalista, veniva da una famiglia dell’aristocrazia svedese mentre la madre, Zina von Holtzmann, avvocato, era una discendente di una nobile schiatta russo-finnica. Quando, tra Prima guerra mondiale e Rivoluzione bolscevica, i nazionalisti finlandesi colsero l’occasione per dichiarare l’indipendenza del Paese, la Finlandia fu teatro di una guerra ideologica; da una parte comunisti e socialisti, dall’altra i conservatori e i nazionalisti nelle loro diverse componenti. Di fatto una guerra civile. Yrjö era ancora un bambino quando il fratello maggiore, ufficiale delle Armate Bianche fu giustiziato a Mosca nel 1920. Cresciuto nella Finlandia indipendente e con lo sfondo familiare che abbiamo descritto, Yrjö von Grönhagen, al termine degli studi partì per Parigi dove lo attendeva uno stage nella locale Ambasciata finlandese ma nella capitale francese fu attratto anche da altro e, favorito dal bell’aspetto, alto e dagli aristocratici lineamenti nordici, entrò con facilità ma brevemente nel mondo del cinema. Poi ritornò agli studi e nel 1933 si iscrisse alla Sorbonne con l’intenzione di occuparsi di ricerche antropologiche in India. Un paio di anni dopo, nella primavera del 1935 si mise in viaggio da Parigi con l’intenzione di raggiungere Helsinki a piedi, non solo per fare una “camminata” ma per compilare un diario di viaggio inteso come esperimento di “sociologia pratica”. Passo dopo passo, annotazione dopo annotazione, arrivò nella Germania del Terzo Reich e ne rimase affascinato. Gli capitò di frequentare l’ambiente della gioventù hitleriana e, fatta la conoscenza del direttore di un giornale di Frankfurt a/M, poté pubblicare grazie a questo, un suo saggio sul “Kalevala”, il poema epico finnico (la prima traduzione italiana la si deve a Paolo Emilio Pavolini, il linguista fiorentino, docente di Sanscrito nell’Università di Firenze oltre che squadrista fascista e padre del più famoso Alessandro. Paolo Emilio stabilì importanti contatti culturali tra Firenze e la Finlandia oltre che personali visto che vi si stabilì seguendovi una studentessa finnica alla quale era legato sentimentalmente). Grazie ai suoi incontri casuali, Yrjö von Grönhagen assistè anche ad una riunione nella quale conobbe Heinrich Himmler con il quale parlò delle origini germaniche e su quelle della lingua ugro-finnica, non indeuropea. Himmler fu molto interessato dalle teorie di von Grönhagen a proposito delle origini e del folklore della Carelia e mise il giovane studioso in contatto con Karl-Maria Wiligut uno studioso delle rune e delle tradizioni nordiche. Ciò portò von Grönhagen ad entrare nell’Ahnenerbe e ad essere incaricato di effettuare alcune ricerche in Finlandia, sia di archivio (ad Helsinki) sia sul terreno, in Carelia, in particolare fotografare e registrare riti e canti degli sciamani locali, coadiuvato da un disegnatore finlandese, Ola Forsell e da Fritz Bose, musicologo dell’Università di Berlino che a soli 28 anni era già diventato direttore dell’Istituto di acustica dell’Università berlinese. Tra l’altro per le registrazioni fu usato un apparecchio simile agli attuali registratori che era stato presentato da poco alla Fiera della Radio a Berlino. I risultati degli studi furono utilizzati dall’Ahnenerbe e in parte pubblicati sulla pubblicazione mensile di archeologia “Germanien”. Questo settore di studi dell’Ahnenerbe subì nel 1937 un improvviso rallentamento a causa della presa di posizione di Adolf Hilter che mise dei paletti di confine tra quel tipo di “derive” e la politica nazionalsocialista, in particolare a causa dei frequenti attacchi che dall’ambiente degli studiosi dell’Ahnenerbe partivano nei confronti del Cristianesimo e a favore di un neo-paganesimo. E’ poco noto ma Hitler, che era un cattolico ligio al pagamento delle quote annuali alla Chiesa cattolica (addirittura fino al 1944) e non voleva creare frizioni con le altre chiese cristiane protestanti, tenne, nei vari tempi della sua azione politica, quasi sempre un profilo basso. Ciò dai tempi della conquista del potere essendo il fattore religioso e regionale importantissimo in Germania e suscettibile di provocare scollamenti radicali da evitare. L’ultima presa di posizione di Hitler nei confronti degli studi dell’Ahnenerbe convinse Himmler che sarebbe stato più saggio, almeno temporaneamente, incanalare le attività dell’Istituto nell’ambito universitario per evitare sconfinamenti. Il provvedimento più importante in questo senso fu il porre alla presidenza dell’Ahnenerbe il prof. Walther Wüst, militante nazionalsocialista sì ma soprattutto, nonostante la giovane età (36 anni), indiscussa personalità accademica di prestigio internazionale, studioso delle religioni dell’India e rettore dell’Università Ludwig-Maximilian di Monaco di Baviera. Uno dei primi provvedimenti del prof. Wüst fu quello di dare un profilo nuovo all’Ahnenerbe, più scientifico, in questa nuova logica la testa di Yrjö von Grönhagen, che aveva perso mesi ad occuparsi della festa del Solstizio d’estate e dei riti mortuari pagani dei Careliani, fu una delle prime a cadere, passando da capo di un dipartimento a semplice ricercatore. In conseguenza dell’attacco sovietico alla Finlandia, von Grönhagen tornò nella sua patria per combattere. Tornò in Germania nel 1940 e continuò ad occuparsi delle sue ricerche e collaborò con gli uffici di propaganda durante la Seconda guerra mondiale, in particolare nel settore dei cinegiornali da diffondere in area baltica e scandinava mentre la moglie, Hertha, anch’essa finlandese, era responsabile redazionale della rivista “Suomi-Saksa”, di cameratismo finno-germanico. Alla fine della guerra i coniugi von Grönhagen furono processati per collaborazionismo e a Yrjö fu impedita la ripresa dell’attività accademica. Si dedicò quindi alla pubblicazione di saggi e, entrato nella Chiesa Greco-Ortodossa visse il resto della sua esistenza spostandosi tra Finlandia e mondo greco.
Contemporaneo dei due precedenti fu anche l’archeologo e accademico Pericle Ducati che però, contrariamente agli altri non vide la fine della guerra perché morì il 17 ottobre 1944 dopo otto mesi di straziante agonia nell’ospedale di Cortina dopo essere stato colpito con colpi di pistola alla schiena da alcuni gappisti mentre entrava nella sua Facoltà nell’Università di Bologna.
Nato a Bologna ma di origini trentine, era stato allievo dell’archeologo Edoardo Brizio e si era laureato in Letteratura con Giosuè Carducci. Aveva poi frequentato la Scuola di Archeologia di Atene ed aveva iniziato la sua carriera lavorativa nel Museo civico di Bologna. Nel 1912 aveva ottenuto la cattedra di Archeologia nell’Università di Catania per passare poi ad insegnare nell’Università di Torino ed infine tornare come docente all’Università di Bologna. Aderente al fascismo fin dalle sue origini, fu uno di coloro che parteciparono nel 1925 al congresso di Bologna “per le istituzioni fasciste di cultura” al termine del quale fu uno dei firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti promosso dal filosofo Giovanni Gentile. Nel fascismo regime fu collaboratore di varie pubblicazioni a partire da “Gerarchia” ma la sua attenzione maggiore la dedicò all’insegnamento, ai suoi studi dell’antichità classica e all’Arte, in particolare sulla scultura, curando una quantità impressionante di pubblicazioni scientifiche (più di mille).
Fu uno degli storici italiani dell’arte antica più importanti del secolo. Accademico d’Italia e membro dell’Accademia dei Lincei. Partecipò alla redazione dell’Enciclopedia Italiana. Fu Presidente della Deputazione di storia patria per l’Emilia-Romagna e della sezione bolognese dell’Istituto di studi romani. Vice presidente dell’Istituto di Studi etruschi; membro dell’Istituto archeologico germanico, dell’Accademia romana di San Luca e della Pontificia Accademia romana di Archeologia…..
Dopo l’8 settembre 1943 si schierò senza tentennamenti con il fascismo repubblicano della RSI. Si iscrisse al PFR e fu Presidente dell’Istituto di Cultura Fascista. In quel periodo fu collaboratore delle pagine culturali del “Corriere della Sera” diretto da Ermanno Amicucci. Continuò a far parte dell’Accademia d’Italia assieme a Marinetti, ad Ardengo Soffici, al geografo Giotto Dainelli tra quei 40 membri che ben sapevano di rischiare grosso per quella loro manifestazione palese esposizione nella vetrina intellettuale dell’ultimo fascismo. Quando il Presidente dell’Accademia, Giovanni Gentile fu ucciso dai gappisti a Firenze, accettò di assumere la responsabiltà della conduzione dell’Accademia in quella capitale della cultura fascista che era diventata la Firenze della RSI, la città dove si stampava anche la rivista “Italia e Civiltà” di Barna Occhini (genero di Giovanni Papini e padre dell’attrice Ilaria) che aveva tra i suoi collaboratori lo stesso Ducati assieme a Soffici, a Primo Conti, Enrico Sacchetti, Arrigo Serpieri, Marco Ramperti e tanti altri tra i quali il giovanissimo Giovanni Spadolini.
A chi accorse a soccorrerlo prima di perdere conoscenza raccomandò: “Niente vendetta, vi prego, vi raccomando!”. Fu accontentato, non ci fu alcuna rappresaglia per quel delitto. La commemorazione funebre del prof. Ducati la fece alla radio il Rettore dell’Università di Bologna, il filologo Goffredo Coppola, anche lui destinato a finire fucilato dai partigiani il 28 aprile 1945. Nel dopoguerra la damnatio memoriae è calata completamente sul suo nome. (da Effemeridi del giorno)