![Tiziana Cantone](https://www.barbadillo.it/wp-content/uploads/2016/09/tiziana-cantone-si-e-tolta-la-vita-dopo-essere-finita-nel-mirino-dei-social-per-alcuni-video_868747-310x129.jpg)
Quello che nella triste vicenda di Tiziana Cantone sta passando inosservato è il nuovo ruolo che lo sguardo e il guardare assumono nella civiltà ultra-visuale e ultra-visiva contemporanea; ma oggi più che mai è urgente rivendicare e indicare come il guardare sia a tutti gli effetti un gesto consapevole e coerente, al quale è necessario quindi riconoscere responsabilità.
Se guardare, soprattutto attraverso i media, comportava fino all’altro ieri l’essere esterni ed estranei a ciò che si osservava, e se quindi l’immagine aveva un punto di partenza e uno di arrivo (lo spettatore) dal quale era semplicemente ricevuta passivamente, oggi non è più così. Attraverso la rete la comunicazione è costantemente sia in entrata che in uscita e le immagini sono il nuovo alfabeto di questa comunicazione. Questo nuovo linguaggio ancora non ha una grammatica e un lessico chiari; in realtà, molti non si rendono neppure conto che si tratti di un linguaggio. Guardare significa ancora per molti assistere passivamente a un fatto, non compiere un atto. Questo ci spoglia di responsabilità e ci permette di ignorare che a questa comunicazione, grazie ai nuovi media e alla rete, si partecipa anche solo guardando.
Nella vicenda di Tiziana Cantone una donna ha un rapporto orale con un uomo che riprende la scena: questo è il fatto. Guardare questa scena diffusa attraverso internet, invece, è l’atto: cosciente, volontario, progettato. Il video viene cercato, scaricato, condiviso, commentato: tutto questo ci appare come una conseguenza inevitabile e logica del fatto originario. Ma se pure il fatto originario pre-esiste all’azione, è l’azione consapevole del guardare che trasforma quel primo fatto nella premessa del fatto finale, in questo caso il suicido della Cantone. La donna non si uccide né perché ha tradito il fidanzato né perché il tradimento è stato scoperto né perché è stata ripresa a farlo; nemmeno perché il video è stato reso pubblico. Si uccide perché quella ripresa divenuta pubblica viene guardata innumerevoli volte da innumerevoli persone. Si addita (giustamente) chi ha diffuso il video, dimenticando però chi l’ha guardato: si ritiene appunto che una volta pubblicato il video “si guarderà da sé” reputando estranea alla vicenda la scelta compiuta da migliaia di persone di guardarlo. Guardare, insomma, non è considerato un atto consapevole e cosciente. Oltre che complice.
L’esito finale della vicenda, ovvero il suicidio, poco cambia questa analisi. Tiziana avrebbe potuto diventare famosa, condurre un programma, finire da Andrea Dipré, candidarsi al Parlamento; ciò che occorre rilevare è che il gesto che crea realmente queste conseguenze è quello, ripetuto e anonimo, di chi guarda, non di chi pubblica: quella è solo la premessa. Guardare è un gesto e una scelta cosciente con delle conseguenze. Edipo lo comprese e si cavò, tardivamente, gl’occhi, a margine di un altro scandalo sessuale. Ma il punto non era lo scandalo, bensì il conoscerlo, l’averlo visto.
Edipo guardava in prima persona, noi attraverso strumenti, ma anche lo schermo del cellulare o della TV ci uniscono a ciò che osserviamo. Vedere significa sapere ed essere parte. Noi non abbiamo ancora decifrato questa comunicazione e non vediamo la connessione tra noi e l’azione che osserviamo, la quale, chiusa dentro uno schermo a cristalli liquidi, può sembrarci un film, una finzione: invece dentro quello schermo, oggi, c’è la realtà in comunicazione con noi. Noi stiamo ancora guardando il mezzo, invece di ciò che vi è contenuto. Così può capitare che delle ragazzine guardino l’amica stuprata attraverso i loro cellulari, anche se l’abominio avviene in diretta a pochi centimetri da loro; e magari lo fanno pensando ai video dai fronti di guerra o alle pubblicità dei bambini affamati o al video porno di una ragazza qualsiasi, che hanno osservato distratte e distanti; e pensando che non sia poi così diverso si convincono di non essere davvero lì e che non ci sia colpa nel loro sguardo.