Anticipiamo, per gentile concessione, l’introduzione del giornalista e scrittore Giovanni Lugaresi* al saggio di Francesco D. Caridi La chiarezza della parola come supremo scopo –Prezzolini in un carteggio inedito (sarà edito quest’anno), che racconta da una singolare visuale, grazie ad una estesa documentazione originale consultata dall’autore in due anni di lavoro, la straordinaria avventura novecentesca di Giuseppe Prezzolini, il mitico fondatore de La Voce e poi professore alla Columbia University di New York morto a cento anni nel 1982 a Lugano, e il cui archivio è custodito alla Biblioteca cantonale di Lugano; i vari carteggi sono pubblicati dalle romane Edizioni di Storia e Letteratura.
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La chiarezza della parola deriva dalla chiarezza delle idee, cioè di quel che si pensa e si vuole poi esprimere. Quella chiarezza che fu uno degli elementi caratterizzanti la vita, l’opera di Giuseppe Prezzolini, la troviamo ora precisa, puntuale, tempestiva in questo saggio di Francesco D. Caridi, il quale va ben al di là di quanto il sottotitolo del libro possa far presagire.
Ha attinto sì all’archivio del Borghese per lettere (inedite) del fondatore e direttore della Voce; ha del pari attinto però a una vasta e articolata gamma di pubblicazioni: articoli di giornale, saggi critici, pagine di memorialistica varia, nonché a testimonianze dirette di personaggi vari, per imbastire un discorso che dal tempo della Voce fino alla morte di Prezzolini si presenta di vivissimo interesse. Un contributo a conoscere (e a capire), oltre al protagonista, uomini, idee, eventi della nostra storia nazionale.
Per cui, ne è uscito un libro che è un vero e proprio viaggio nella lunga esistenza dell’ultracentenario scrittore (e nella storia): libro di sintesi, ma esaustivo e perciò godibilissimo per il lettore-viaggiatore accompagnato da Caridi. Il quale, poi, sa ricreare momenti, atmosfere, e approfondire psicologie, operare opportuni accostamenti fra personalità affatto diverse. Si legga al proposito il passo inerente la fede in cui a Giuseppe Prezzolini viene accostata Oriana Fallaci: passo di acuta osservazione e di toccante constatazione, forte e delicato, in virtù anche di una prosa sempre tesa all’essenziale, e limpidissima nel suo scorrevole dipanarsi.
Il lettore disinformato, ma non per questo disinteressato, resterà assai sorpreso nell’apprendere dei rapporti fra Prezzolini e uomini di cultura, pensatori, letterati, storici, artisti, politici, sì del suo tempo, ma anche della successive generazioni. Scontati i nomi di Croce, Gentile, Gramsci, Salvemini, del liberale Amendola (Giovanni); meno scontato quello, per esempio, dell’altro Amendola, Giorgio, comunista, ma, come il padre, non privo di quella intelligenza che prevale sulle passioni della militanza, di quell’umanità che sa prevalere (superare) sull’ideologia.
Naturalmente non mancano i personaggi più direttamente legati al Borghese, come Claudio Quarantotto, per esempio, o Gianna Preda; naturalmente, Indro Montanelli, il fondatore Leo Longanesi e il suo successore alla guida del settimanale della destra italiana, Mario Tedeschi. Che, abituati a leggerlo a livello di interventi politici, forse si resterà meravigliati da quel caldo senso di affetto emergente in più di una sua lettera al collaboratore numero uno della rivista, cioè Prezzolini; non di meno, dall’umiltà dimostrata, sempre al suo corrispondente, per talune scelte compiute ritenute in seguito sbagliate.
Ad emergere, da ultimo (ma non ultima), nella sua interezza così chiara, e priva di equivoci, è la dirittura di Prezzolini, cioè una “schiena dritta”, una fedeltà alla coscienza, uno spirito di libertà e di indipendenza che lo avrebbero portato inevitabilmente alla solitudine, vissuta, sofferta, certamente, ma nella consapevolezza che nulla ci è dato gratuitamente (soltanto la grazia divina è un dono gratuito, nella concezione prezzoliniana).
Ed essere liberi, sempre, comunque, dovunque, costa un alto prezzo. Quel prezzo di incomprensioni, avversioni, denigrazioni, da parte di tanti, che Prezzolini non esitò a pagare. È questo, alla fin fine, che resta impresso nel lettore non prevenuto, non ideologicamente contaminato.
Perché, se si può non concordare con le analisi, i giudizi, le opinioni dello scrittore fiorentino, si deve però riconoscergli, oltre a una spiccata intelligenza, una capacità di cogliere i fatti, i fenomeni della storia, nonché del presente, con un senso critico raro, ed una originalità di riflessione straordinaria.
Veramente, in lui, la chiarezza della parola era espressione della chiarezza delle idee. Come si evince, una volta girata l’ultima pagina del testo di Caridi.
*Giovanni Lugaresi, giornalista professionista e saggista, per un trentennio nella redazione de Il Gazzettino, collaboratore di varie testate, tra le quali L’Osservatore Romano, Radio Vaticana, Gazzetta di Parma, Giornale di Brescia. Cultore dell’opera di Giovannino Guareschi (Le lampade e la luce. Guareschi: fede e umanità, Rizzoli); amico di famosi “grandi vecchi” della cultura del 900, tra i quali il poeta Marino Moretti (del quale ha curato la pubblicazione di liriche inedite nell’Almanacco dello Specchio, Mondadori) e Giuseppe Prezzolini (ricordato ne La lezione di Prezzolini, Neri Pozza); memorialista (Lettere ruggenti di Marinetti a Francesco Balilla Pratella, Osservatore Politico Letterario; Anarchico il pensier…, Neri Pozza).