A diciotto anni avevamo due miti. Arthur Rimbaud: la libertà, i versi e la poesia del viaggio. A diciotto anni si vive di miti. Si sa. Lo avremmo compreso studiando Roland Barthes. Il mito è una narrazione, è come un personaggio che genera di continuo immagini e contenuti. Il mito è “ciò che subisce le leggi di un discorso” e il suo discorso ritorna. Sempre. Altro mito della nostra gioventù, Erwin Rommel. Che oggi ritorna. Non lo aspettavamo. Era chiuso in qualche libro di Storia militare. Era dimenticato nei discorsi di giovanotti che avevamo deciso di attraversare l’Europa, per portare dei fiori sulla tomba di Rommel, nel Cimitero di Herrlingen, a Blaustein.
Sapevamo poco della tomba del Generale ma avevamo osservato la cartina geografica: Blaustein, la regione di Baden Württemberg, vicino al confino svizzero, da lì arrivare poi alla Foresta nera, al centro delle nostre infatuazioni giovanili. Il viaggio era da fare. Ne parlavamo da mesi. Avevamo rintracciato le fotografie della tomba grazie ad un opuscolo per associazioni militari. Alla fine, però, mancarono i denari. E il viaggio sfumò. In un lontano luglio del 1982.
Ma, in edicola, pochi giorni fa, sulla copertina del mensile ‘Conoscere la Storia’, Sprea editore, ecco il titolo, “Rommel. La Volpe del deserto. Fu un genio della tattica militare o un temerario che sfidava la sorte”, allora, quel viaggio a Blaustein è riemerso dal buio della memoria. E sono ritornati i discorsi su quella tomba tedesca: un luogo fuori dal tempo, pochi metri con una croce militare, con una base modesta su cui è incisa la data di nascita e morte. Così la Storia è raffigurata: una croce di guerra battuta dai venti, accarezzata dalle piante primaverili; e questa semplice tomba è la giusta metafora di un mito.
Leggendo il mensile ‘Conoscere…’, i più giovani possono seguire gli aneddoti sul Generale che fece tremare Churchill e Roosevelt. In dieci pagine riaffiora la semplicità di un uomo che, nel 1940, per attraversare la Mosa, entrò nelle acque del fiume insieme ai soldati per spostare un ponte mobile; nel 1941, in Africa, festeggiò una sua promozione solo con una fetta di ananas; e il suo rancio era quello della truppa, da mangiare accanto ai soldati, giacché ripeteva spesso che, in guerra, non possono esserci differenze se poi si muore insieme.
Ecco perché, nel 1982, volevamo portare un fiore sulla tomba di un militare sobrio. I Generali con le nobili origini non lo sopportavano, per loro era solo un ufficiale senza cognome, il figlio di un anonimo insegnante.
È noto, Rommel aveva compreso che il suo capo, il Führer, era un pazzo, “Forse fu informato dell’esistenza di un gruppo di cospiratori dal suo capo di Stato maggiore Hans Speidel che ne faceva parte, ma probabilmente non dell’attentato stesso.” Però, anni prima, aveva chiuso gli occhi davanti al Nazismo; ma la politica da lui non era capita. Un giorno guardò in faccia il diabolico padrone della svastica per dirgli di consentire agli ebrei di andare in Palestina. Hitler rise. Dagli aneddoti però è difficile uscire; c’è una narrazione interminabile da affrontare; per questo, mentre preparavamo il viaggio a Blaustein, ci raccontavamo i fatti del giovane Erwin, che, durante la Prima guerra mondiale, presso Longarone, con pochi soldati catturò una Divisione durante i giorni di Caporetto.
“Conoscere la Storia” di luglio presenta buoni testi e divide il saggio in piccoli capitoli, ossia: Il diavolo di Caporetto, L’uomo della guerra-lampo, Il signore delle dune, Da difensore dell’Europa a traditore del Führer. La rivista compie una rivisitazione stimolante, utile a chi desidera “scrostare un po’ la vernice dorata del mito per ritrovare la verità sfaccettata del vero Rommel…” In questo senso fa riflettere come la Germania federale, durante il dopoguerra, dimostrò che quel generale aveva combattuto da militare leale, senza sporcarsi di sangue; come tentò pure di raccontare il film, ‘Rommel, la volpe del deserto’, opera realizzata grazie alla biografia di Desmond Young, un comandante che combatté contro Rommel; e questo film del 1951 narrò il tedesco Erwin, uomo signorile, interpretato da James Mason.
Noi ragazzi nel 1982 avevamo visto il film con James Mason. Avevamo sfogliato pure le pagine della rivista militare ‘Signal’ per esaltarci con le vicende belliche del militare dagli occhi azzurri. Avevamo quindi due miti. Tanto diversi. Arthur Rimbaud, il mercante di armi in Africa, il giovane poeta che sconvolse da solo la letteratura. E la Volpe del deserto, la sua guerra-lampo che cancellò gli eserciti, i suoi carri armati lanciati come fulmini, e la tomba del più famoso soldato del Novecento seppellito, semplicemente, sotto una croce di legno.