Perché così parla a me la giustizia: “gli uomini non sono eguali”. In questa frase vi è concentrata buona parte del pensiero politico di Friedrich Nietzsche. Per il filosofo di Rocken la vita, in quanto volontà di potenza, è continuo e perenne auto-superamento di se stessa, è conflitto e guerra, diseguaglianza, differenza ed elevazione: per questo non accetta che venga limitata in forme prestabilite e già sempre fissate.
La figura della tarantola metaforicamente rappresenta il tipo politico del progressista, figlio dell’epoca dei lumi, fedele nel progresso dell’umanità viene descritta come affascinata e promotrice della volontà di uguaglianza, che per Nietzsche è la suprema realizzazione del cristianesimo di derivazione paolina. San Paolo con la rivolta degli schiavi ha fatto crollare l’impero romano. La volontà di uguaglianza è lotta contro la potenza, lotta contro la vita, la volontà di essere tutti uguali deriva dal sentimento di vendetta e gelosia nei confronti del più forte, del signore: per questo il cristianesimo di Paolo è l’ideologia fondamentale del nichilismo. Alla morte di Cristo i suoi discepoli, guidati da Paolo, hanno negato quello che il profeta aveva predicato in vita: in primo luogo il concetto di offrire l’altra guancia, sono caduti nel risentimento, hanno provato odio e desiderato vendetta contro la figura del signore romano, così hanno fatto crollare un impero, fattisi portavoce dell’uguaglianza planetaria hanno colpito a morte chi non accettava la loro volontà (l’impero pagano prima e gli eretici dopo). Qui sta il vulnus degli ideali egualitari: Nietzsche critica il fatto che chi li professa nasconda la propria volontà di comandare dietro una fumosa giustizia oggettiva. Questa cattiva coscienza che troviamo nella volontà di uguaglianza (che altro non è che volontà di potenza camuffata) viene descritta ancor meglio da Nietzsche in un passo in cui delinea una dialettica simile a quella servo-padrone di Hegel: ” anche nella volontà di colui che serve ho trovato la volontà di essere padrone. Il debole è indotto dalla sua volontà a servire il forte[… Come il piccolo si dà al grande per avere diletto e potenza sull’ancor più piccolo così anche ciò che è più grande dà se stesso e […] mette a repentaglio – la vita”.. Con Nietzsche allora ci chiediamo: “è giusto che il servo valga quanto il padrone, è giusto che “chi non ha rischiato la propria vita”(Hegel) abbia tanto potere di incidere sulla realtà quanto chi ha rischiato tutto?”. La risposta di Nietzsche è assolutamente negativa e la possiamo scorgere in questo passo: “Perché gli uomini non sono eguali: così parla la giustizia. E a loro non dovrebbe essere lecito volere ciò che io voglio”.( pag.145) Qui il filosofo è chiarissimo, delinea una gerarchia netta fra chi serve e chi comanda ed il primo non ha diritto a volere quanto il secondo.
La volontà di uguaglianza si manifesta politicamente attraverso la democratizzazione di ogni spazio della vita associata; per Zarathustra però questa volontà di uguaglianza non è altro che la massima realizzazione del nichilismo ed in quanto tale negazione della vita. Per Nietzsche una società si può definire sana solo se permane quella gerarchia che da sempre contraddistingue la storia degli uomini. L’impero romano è stato grande proprio perché comandato da signori e non da servi, o da servi eletti, scelti dal popolo. All’origine della volontà di uguaglianza c’è l’invidia verso chi possiede volontà di potenza: per questo la morale degli schiavi, morale cristiana, è giudicata da Nietzsche come morale del ressentiment, contro-natura.
Alla figura della tarantola Nietzsche oppone in maniera speculare la figura della “scimmia di Zarathustra” nel capitolo ‘del passare oltre’. Questo “pazzo furioso” è la rappresentazione poetica della figura del reazionario, condivide con Zarathustra l’insofferenza verso la modernità, il senso di inadeguatezza esistenziale verso la propria epoca; le loro proposte sono però opposte. La scimmia vuole tornare indietro, sente la mancanza dei vecchi valori, della metafisica, della figura rasserenatrice di Dio e per questo tenta una sorta di restaurazione; Zarathustra invece vuole passare oltre la modernità attraverso la creazione di nuovi valori. I suoi discorsi sono brutte copie di quelli di Zarathustra, la sua vita è una continua riesumazione di valori perduti per sempre. Prendendo in prestito l’immagine delle ‘tre metamorfosi’ potremmo anche dire che la scimmia, dopo aver assistito alla vittoria del leone sul cammello-drago, senta una vertigine profondissima, un horror vacui tremendo ed insopportabile nel vedersi sola come “signore nel deserto”. Le sue spalle non sopportano il peso di quella responsabilità destinale a cui è chiamata a rispondere: tra “le vecchie tavole e nuove” vede il nulla e non ha il coraggio di superarlo con la creazione di nuovi valori.
Secondo le tarantole la modernità va ancor di più accelerata; non superata al modo di Nietzsche, non con un nuovo creare, non con l’innocenza tragica a cui sarà destinato il fanciullo, bensì con l’uguaglianza planetaria. Annullando tutte le differenze e le gerarchie, imponendo una gerarchia diversa, quella secondo la quale il forte deve essere dominato dai deboli e deve essere anche punito per la sua potenza. Così parlano le tarantole dalle loro tane: “Noi vogliamo esercitare la vendetta e l’oltraggio contro tutti coloro che non sono eguali a noi” Nietzsche identifica la volontà di eguaglianza con il nichilismo, ci dice che proprio presso le tarantole ha trovato dimora: “…presso coloro trova miglior domicilio la predica della morte”. Da qui deduciamo la gravità ontologica maggiore delle tarantole; di contro le scimmie sono talmente spaesate nel deserto di valori da iniziare a fingere che Dio non sia morto, (psicosi?) non accettano la fine di un’epoca e quindi non ne inaugurano una nuova. Riprendendo l’immagine delle ‘tre metamorfosi’ sembra quasi che le tarantole si trovino perfettamente a loro agio nel deserto di valori, per loro il processo di metamorfosi dello spirito si dovrebbe fermare al leone, non hanno bisogno di valori nuovi, non viene prospettato un fanciullo futuro per redimere la modernità. La loro libertà si esaurisce nell’essere liberi da, morto il drago non si chiedono per cosa sono liberi adesso. Probabilmente fanno corrispondere valori nuovi unicamente a regole nuove e loro non ne vogliono sentir parlare, nemmeno se sono chiamati essi stessi a scriverle. Ecco uno schizzo dell’epoca moderna, in cui la libertà priva di responsabilità viene ridotta a liberalità, la liberazione a liberalizzazione.
I cuori di tarantola hanno scambiato la possibilità della libertà più grande, quella di darsi valori nuovi autonomamente, con la misera sregolatezza offerta dal non darsi nessun valore. Qui si compie una trasvalutazione dei valori, il tu devi del cammello diventa io voglio ma questo io voglio non si decide sull’oggetto del proprio volere e così la potenziale carica liberatrice della volontà del leone si auto-estingue nell’atto del consumo sfrenato e sregolato, la volontà di potenza si riduce ad obbedienza all’istinto. Creo dunque sono direbbe il fanciullino annunciato da Zarathustra; consumo dunque sono sibilano le tarantole in ogni dove, ecco la loro libertà, libertà di consumare.
@barbadilloit