Era ‘un uomo magro, con una ispida barba bionda, occhi di un azzurro pallido, dimostrava all’incirca trent’anni. La sua uniforme militare appariva in condizioni pessime, i calzoni erano molto rovinati e lisi all’altezza del ginocchio. Portava una spada al fianco e una pistola alla cintura.’
Dell’esercito imperiale, solo diecimila uomini (uno su quindici) fecero ritorno in Russia, e Ungern era fra quelli: pur dovuta in parte alla fortuna, la sua sopravvivenza fu il merito di una assenza di paura quasi suicida, di una audacia per la quale egli stava in prima linea durante ogni carica, incoraggiando sempre i suoi soldati e accettando le missioni più pericolose. Il barone amava la guerra; dichiarò più tardi: “La vita è il risultato della guerra, la società è solo uno strumento della guerra. Rifiutare la guerra significa mutilare la vita del proprio stile epico”.
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Alle reclute del nuovo esercito, che venne denominato la Divisione Speciale Manciuria, venivano poste solo tre, basilari domande: “Credi in Dio? Ti rifiuti di riconoscere i bolscevichi? Ti batterai contro di loro?”
Nonostante l’oppio, Ungern viveva in modo assai semplice, dimostrando una totale mancanza di vanità e un completo disinteresse per i beni materiali. Era onesto in modo rigoroso, soprattutto nell’amministrare le finanze destinate alla Divisione Speciale Manciuria, manifestando in ciò un comportamento esemplare e straordinario, sì che il suo stile di vita ascetico contrastava nettamente con l’esistenza che a Chita conduceva Semenov, il quale induceva invece a piaceri orgiastici, cene a base di champagne e balli stravaganti.
La liberazione del Bogd avvenne una fredda mattina d’inverno. I cinesi videro piombare loro addosso strani cavalieri silenziosi e abilissimi, che ostentavano paurose facce d’animale: erano i dobdobs, le forze d’assalto dei monaci tibetani, le vesti imbrattate di burro e il viso sporco di fuliggine per incutere timore. I liberatori avevano portato alcuni cavalli per il Bogd e i suoi fedelissimi, coll’intento di metterli al sicuro in un vicino monastero sulle colline.
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Un testimone americano, A. M. Guptill, commentò: “L’intera azione si consumò in una mezz’ora esatta; fu lo spettacolo a cavallo più grandioso che avessi mai visto.”
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‘Il barone Ungern era un uomo straordinario, una natura molto complessa, sotto il riguardo sia psicologico che politico. Per disegnare in modo semplice i tratti che lo contrassegnavano, potremmo affermare che: 1. Era radicalmente ostile al bolscevismo, in cui vedeva un nemico di tutto il genere umano e dei suoi valori spirituali; 2. Provava disprezzo per i russi, i quali avevano tradito l’Intesa, infranto nel corso della guerra il giuramento di fedeltà allo Zar, prima, e ai due governi rivoluzionari, poi, accettando in seguito il governo bolscevico; 3. Non porgeva la mano ad alcun russo e frequentava soltanto stranieri (anche polacchi, da lui apprezzati per la lotta da loro condotta contro la Russia); tra i russi, agli intellettuali preferiva la gente semplice, da lui considerata meno corrotta; 4. Era un mistico e un buddhista; 5. Auspicava l’instaurazione di un grande impero asiatico, che si levasse a lottare contro il materialismo della cultura europea e contro la Russia sovietica; 6. Era in relazione con il Dalai Lama, il ‘Buddha vivente’, e gli esponenti asiatici dell’Islam, avendo il rango di sacerdote e di Khan mongolo; 7. Era spietato e inflessibile come solo un asceta e un settario possono esserlo; al di là di qualsiasi immaginazione, la sua inesorabilità e insensibilità potevano rinvenirsi esclusivamente in un essere incorporeo, in un’anima algida, glaciale, che non conosca dolore pietà gioia tristezza; 8. Era dotato di intelligenza superiore e di vaste cognizioni; non c’era argomento su cui non fosse in grado di emettere una considerazione appropriata […]’.
*Il Signore terribile – Vita del barone von Ungern-Sternberg (pp. 108, euro 11, Il Cavallo alato. Per informazioni e ordini: info@libreriaar.com 0825.32239)