Molti dei problemi interpretativi suscitati dalla lettura dei Quaderni neri di Heidegger sono analoghi a quelli già emersi per altri documenti (lettere private, discorsi ufficiali, ecc.) che sono stati letti separatamente dalle opere maggiori.
Essi nascono da un fraintendimento nel quale è facile incorrere accostandosi agli scritti di un filosofo in cui sono sviluppate considerazioni riguardo a vicende della vita quotidiana, o della vita politica, e che implicano la comprensione della concettualità filosofica dalla quale esse dipendono.
Inoltre, come ebbe ad osservare lo stesso Heidegger, il contenuto di quei “concetti” non deve essere considerato sul «medesimo piano delle cose di cui ci si occupa quotidianamente». Questa duplice attenzione dovrebbe valere anche quando ci si propone di comprendere, armati di una grande strumentazione critica, ciò che Heidegger ha scritto riguardo agli ebrei in questi Quaderni ancora così controversi. Quella strumentazione è necessaria e tuttavia non basta ad eliminare il rischio di un’errata comprensione. È molto utile, a questo proposito, il volume di Friedrich-Wilhelm von Herrmann e Francesco Alfieri Martin Heidegger. La verità sui Quaderni neri (Morcelliana, pagine 456, euro 35,00). Il problema che ho indicato coinvolge molti degli scritti, compresi alcuni tra quelli più noti, che hanno sollevato la questione di un antisemitismo di carattere “filosofico” che inquinerebbe il pensiero heideggeriano.
Meno nota almeno in Italia, ma altrettanto discutibile, è la posizione di David Patterson dell’Università di Dallas, il quale già nel 1999, con lo scritto Nazis, philosophers and the response to the scandal of Heidegger, aveva avanzato la tesi di un antisemitismo di natura filosofica che apparterebbe non soltanto a Heidegger (nel cui pensiero, il primato conferito all’“Essere”, è visto come sostitutivo del primato assegnato dall’ebraismo alla “Legge”), ma anche a una parte consistente della filosofia occidentale, in particolare quella tedesca.
Dopo Kant, Hegel e Nietzsche, Heidegger sarebbe autore di una battaglia volta a eliminare dalla vita umana il “Dio di Abramo”, la sua immagine nell’uomo e, infine, pure ogni forma di etica. Ecco due esempi di un possibile fraintendimento circa talune espressioni heideggeriane. Il primo riguarda un passo dei Quaderni neri relativo all’«autoannientamento» di cui – è stato detto – per Heidegger sarebbe stato responsabile lo stesso popolo ebraico (Anmerkungen I, in Schwarze Hefte 1942-1948, p. 20). In quel passo, però, non si sostiene che ad autoannientarsi sia il “popolo ebraico”, ma «ciò che è essenzialmente “ebraico” in senso metafisico» e cioè la struttura che assumendo nomi diversi (tra i quali americanismo, bolscevismo, ma anche nazionalsocialismo) secondo Heidegger persegue il dominio planetario e che a tale dominio sottomette pure la “lotta” contro il popolo ebraico. Un ulteriore esempio riguarda una delle Conferenze di Bremaintitolata Il pericolo.
Potrebbe sembrare che Heidegger, tornando a parlare della «fabbricazione di cadaveri», non mostri alcuna pietà per lo sterminio degli ebrei. E invece, alla luce di ciò che in Essere e tempo aveva affermato riguardo all’“essenza” della morte, egli lascia intendere che i loro sterminatori, pur uccidendoli, non hanno potuto appropriarsi della loro “morte” e cioè espropriarli della loro più profonda identità (Conferenze di Brema e Friburgo, Adelphi 2002, p. 83).
Lungi dal voler togliere dignità a quelle morti, è come se volesse mettere al riparo ognuna di esse, e custodirle, nella “pietà del pensiero”. Un capitolo altrettanto dolente è quello dei rapporti intrattenuti da Heidegger con il nazionalsocialismo anche sotto il profilo ideologico, sulla base di una rivendicazione dell’“essenza tedesca”. Ma per provarli non è sufficiente citare le frasi che egli scriveva nei Quaderni durante il periodo in cui, errando, effettivamente credette che in base al suo pensiero filosofico il proprio Dasein «dovesse decidersi» per Hitler.
Dopo la vista corta che mostrò nel 1933, per Heidegger la vera “patria” non fu più la Germania nazista e, in seguito, cessò pure d’identificarsi con la sola Germania. Nella Lettera sull’“Umanismo”, commentando Hölderlin, egli scrisse: «Il “carattere tedesco” non è detto al mondo perché questo trovi la sua guarigione nell’essere tedesco, ma è detto ai tedeschi perché, nel destino che li lega agli altri popoli, entrino con loro nella storia del mondo» (Lettera sull’“Umanismo”, Adelphi 1995, p. 68).
*da Avvenire