Iniziare con una premessa non è bello, lo so, ma credo sia necessario. Sto seguendo con interesse il dibattito aperto da Barbadillo per fare il punto sullo stato della politica alla luce dei risultati delle recenti elezioni amministrative. Senza nulla togliere al valore degli altri interventi debbo ammettere – questa è la premessa – che quello di Alex Voglino mi ha fatto venire la voglia di dare il mio contributo.
Il mio rapporto con la politica è contrastato: mi delude ogni giorno di più, ma resta comunque un grande amore. Sono sicuro che un giorno un bravo politologo scriverà uno studio documentassimo per mettere, nero su bianco, le colpe del mondo che faceva riferimento al MSI per essersi fatto scippare, più o meno consapevolmente, molti dei suoi temi e delle sue caratteristiche da altre formazioni partitiche venute alla luce dopo la sua nascita nel lontano 1946.
Iniziamo ad esempio dal rapporto con il territorio: la Lega, già qualche anno fa, fece tesoro delle modalità che il MSI aveva con i territori in gran parte d’Italia. Nel 1977 una parte considerevole della dirigenza missina abbandonò il partito con la scissione di Democrazia Nazionale: è innegabile che, se allora il partito tenne, fu grazie alla base, al territorio, alla generosità e al cuore grande dei militanti. Ero ragazzo allora, studente liceale e con una punta di ammirazione apprezzavamo un’organizzazione territoriale migliore della nostra, quella del PCI. Che ovviamente, e questo non va taciuto, disponeva però anche di mezzi e risorse enormemente più grandi del MSI, allora fuori dal cosiddetto “arco costituzionale”.
Vogliamo poi parlare di alcune battaglie del Movimento 5Stelle? A me ricordano tanto le care vecchie battaglie antisistema del MSI e del Fdg. Forse non è solo un caso se alcuni dei nomi di rilevo del movimento pentastellato sono figli di militanti missini, che ancora oggi rivendicano con orgoglio il lascito della legislazione sociale del regime fascista e della RSI.
E qui arriviamo a uno snodo cruciale, se si vuole ridare alla politica il ruolo che le compete, mettendo ad esempio al bando l’innamoramento per la chimera della società civile, nella quale io non credo. Io capisco che le etichette sono esemplificative e funzionali soprattutto al lavoro di informazione – più spesso disinformazione – dei media: se si parla di politica è molto più semplice e sbrigativo parlare di destra, di sinistra o anche di centrodestra e centrosinistra. Personalmente non mi riconosco in nessuna di queste etichette. Il panorama della mia generazione politica degli anni ’ 70 e ’80 non aveva ancora conosciuto gli scempi e i danni della globalizzazione planetaria. La Cina era ancora quella comunista di vecchio stampo, non quella ultracapitalista di oggi, con gli operai di alcune fabbriche costretti ad indossare i pannoloni per evitare di andare in bagno rallentando così i tempi della produzione.
Molto significativamente il titolo del contributo di Voglino recita “Destra grande assente nello scontro tra forze globaliste e populisti”. Ma se la destra è grande assente e molti della mia comunità di un tempo assistiamo al disfacimento e alla frammentazione personalistica di quello che era il nostro mondo, non posso non pensare allo sconforto degli avversari di un tempo. Gli eredi della sinistra hanno perso la bussola e l’identità, sbilanciati totalmente sulla difesa dei diritti civili a tutto discapito di quelli sociali. Con una operazione di indottrinamento dei cervelli sono stati trasformati in diritti le aspettative di una parte dei cittadini, ma le due cose sono diverse tra loro e non possono sempre essere sovrapposte.
Ci si dovrebbe preoccupare dello smantellamento quotidiano dello stato sociale da parte del governo Renzi, peraltro privo della legittimazione elettorale; invece la politica si occupa d’altro. Si fatica a distinguere i poteri forti nazionali e sovranazionali dai rappresentanti della politica. Oltre alla perdita di sovranità nazionale, monetaria e di bilancio dei singoli stati (e di conseguenza dei popoli) gli italiani debbono fare i conti con le misure governative che mettono il cittadino alla mercé delle banche, delle multinazionali e delle istituzioni europee.
Per ritrovare una politica degna di tale nome consegniamo ai libri di storia le vecchie etichette del ‘900, chiamiamoci o che ci chiamino come preferiscono i media: sovranisti, populisti, identitari, post-missini. L’importante è sapere bene da quale parte stare: contro il turbo-capitalismo che mortifica i lavoratori e chi il lavoro lo ha perso e lo sta cercando, per una rappresentanza dei cittadini partecipativa e diretta e non soltanto meramente rappresentativa, contro le ingiustizie sociali nazionali, europee e mondiali. Cerco di sintetizzare, ma l’impresa è ardua e non sono sicuro della bontà del risultato: la politica ritroverà il suo ruolo e il rispetto di chi l’ha amata moltissimo se ritroverà la sua socialità.