Ernesto Michahelles aveva scelto “Thayaht” come pseudonimo palindromo (si può leggere nei due sensi); era un artista di origini anglo-svizzere, ma fiorentino per scelta, per gusto, per nascita; insomma, fiorentino di fatto.
E a Firenze c’era nato per davvero nel 1893, nella villa di famiglia a Poggio Imperiale. Suo nonno era stato uno scultore neoclassico che in città aveva messo radici in quella foltissima colonia di stranieri fiorentinizzati, fatta di inglesi, tedeschi, francesi e svizzeri che oggi, nell’era del brutto, in una parola: della globalizzazione, è quasi scomparsa ma che nei due secoli passati aveva dato e preso tanto sentendosi fiorentina ed essendo considerata parte della città dai fiorentini.
Nel 1915, a Prima guerra mondiale iniziata, Thayat si trasferì per un breve periodo a Parigi, Tornato a Firenze si avvicinò al movimento futurista occupandosi un po’ di tutto, dalla pittura alla grafica, dal teatro alla scultura, alla fotografia.
Al termine della guerra tornò a Parigi, stabilendosi in rue de Rivoli; posizione strategica per l’avvio della sua attività di disegnatore (oggi “designer”) nel mondo della moda tramite la maison di Madaleine Vionnet. Attività che svolse non da posizioni marginali; tutt’altro, riuscendo invece in breve ad influenzare linee di tendenza nella moda europea che a Parigi guardava come città maestra.
Già che era in zona, frequentò i corsi dell’Académie Ranson.
Ma il periodo parigino non fu lunghissimo, nel 1919 tornò nuovamente a Firenze dove ebbe una intuizione rivoluzionaria: fu l’inventore della tuta, un capo unico di vestiario, realizzato con un solo taglio di stoffa destinato a durare nel tempo: tute da lavoro, tute sportive, tute mimetiche per militari, tute nell’abbigliamento femminile, tute spaziali…..
Con il fratello Ruggero (che assunse a sua volta uno pseudonimo artistico: Rem) perfezionò l’idea e tramite il quodiano fiorentino “La Nazione” la lanciò.
Subito la tuta divenne l’abbigliamento dei fiorentini alla moda prima di diventare ciò che sappiamo anche se pochi sanno chi ne fu l’ideatore. Nel luglio 1920 a Piazzale Michelangelo ci fu un primo raduno di tutisti.
Scrivendo questa scheda ho consultato un paio dei miei dizionari domestici – i più accreditati – e ho scoperto che il famosissimo e voluminoso “Devoto-Oli” è caduto in errore attribuendo l’origine del nome al ….. francese “tout-de-même”. Chissà perché? Invece il “minore” Dizionario Etimologico di Cortellazzo-Zolli (Zanichelli) rende giustizia al Nostro, dilungandosi addirittura nella storia della nascita della sua “tuta”.
Mentre in Italia il fascismo proseguiva la sua marcia verso la conquista del potere il futurista Thayaht fece un salto di un paio di anni negli Stati Uniti dove frequentò corsi artistici a Harvard e contemporaneamente continuò la sua collaborazione con la parigina maison Vionnet.
Tornato appena possibile a Firenze dalla quale per tanto tempo non riusciva a star lontano, nel 1923 strinse amicizia e sodalizio con lo scultore (e non solo) svizzero del Canton Ticino, Antonio Maraini, un altro che aveva scelto Firenze come sua seconda patria e il Fascismo come ideologia. Ottenne anche la cittadinanza italiana, fu uno dei protagonisti dell’arte fascista e del Partito Fascista fu anche deputato in Parlamento per finire poi dimenticato nel dopoguerra, come Thayaht, pagando lo scotto della loro fedeltà a quell’Idea. Ma, sugli svizzero-fiorentini Maraini tornerò più volte in questa “effemeride”.
Thayaht e Maraini nel 1923 e poi nel 1927 parteciparono all’Esposizione Internazionale di Arti Decorative a Monza, il primo con stoffe, tappeti e bozzetti di abiti, il secondo con oggetti d’arredamento.
Ambedue interessati all’arte fotografica, Thayaht e Maraini vi si dedicarono e assieme disegnarono le scenografie per le rappresentazioni al Teatro dei Fidenti di Firenze.
Fu tutto un rincorresi di successi, con la scenografia dell'”Aida” vinse un concorso nazionale per la diffusione della musica italiana all’estero; dal Gruppo nazionale fascista dell’arte della paglia fu scelto addirittura come designer di cappelli da donna e per uomo e sulla sua produzione misero subito gli occhi le aziende Borsalino e Barbisio. Per dare un’idea di ciò che si trattava: tutti modelli futuristi, come il “cappello poetico”, il “fonocappello” e il…… “cappello autosalutante”….
Nel 1929 finalmente Primo Conti lo presentò al guru del Futurismo, Filippo Tommaso Marinetti e il suo legame con il movimento artistico si fece ancora più stretto e organico. Nello stesso anno, a ottobre, espose a Milano nella Mostra di 33 artisti futuristi. Lo squadrista futurista Mario Carli ottenne la sua collaborazione alla rivista “Oggi e domani”; assieme al fratello Ruggero teorizzò e progettò “case in serie” di architettura razionalista…. e, sempre dal 1929 collaborò a “Moda”, la rivista ufficiale della Federazione Nazionale Fascista Industria dell’Abbigliamento.
Ma i suoi interessi artistici, come abbiamo visto, erano illimitati, dalla moda all’architettura, dalla pittura alla scultura, dalla fotografia alla scenografia, dalla musica al teatro alla grafica pubblicitaria. Si spinse anche nell’oreficeria non limitandosi all’arte orafa ma addirittura inventando una lega di argento e alluminio che chiamò “taittite”e che pare – ma non ci metterei la mano sul fuoco – sia ancora in voga.
Come futurista Thayaht partecipò nel 1931 alla prima Quadriennale d’arte romana, alle Biennali di Venezia dal 1932 al 1936, alle Triennali di Milano del 1933 (dove assieme a Prampolini elaborò un progetto di Aeroporto civile) e del 1936.
Il 1931 era iniziato alla grande per i futuristi che a febbraio alla Camerata degli artisti di Roma avevano allestito una loro importante mostra di Aeropittura. Tra gli altri, oltre a Thayaht esposero anche Benedetta Cappa (moglie di Marinetti), Balla, Dottori, Fillia, Tato…..
L’importante anno si chiuse a Torino con una mostra sperimentale di fotografia futurista, Thayahat fu del gruppo con tanti, tanti altri come il fiorentino Fosco Maraini (figlio del più sopra citato svizzero-fiorentino Antonio Maraini), anche lui impegnato in mille cose: poeta, etnologo, esploratore (con Tucci nel Tibet, ad esempio),…. per poi finire in campo di concentramento giapponese dopo l’8 settembre 1943, rifiutandosi di aderire alla RSI, primo dei Maraini antifascisti, tanto per cirtarne un’altro/a… Dacia Maraini.
Ma tornando a Thayaht, l’anno 1931 fu anche bizzarro se si pensa alle “polemiche” goliardico-gastronomiche dei futuristi con gli scontri tra Marinetti che voleva abolire gli spaghetti (“Galoppata di spaghi”) e i futuristi liguri con la loro “Supplica a F.T. Marinetti perché almeno risparmi le trenette”.
Nella “polemica” ci s’infilarono anche Thayaht e Fortunato Depero fornendo ricette per menu alternativi!
L’anno successivo assieme al fratello Ruggero (Rem), lanciò il “Manifesto per la trasformazione dell’abbigliamento maschile”, basato su criteri di praticità, economia e semplicità. Fu la prosecuzione dell’attività dell’inventore della tuta che si mise ad inventare nuovi capi. Reggetevi perché ve ne cito alcuni: il camitto (camicia antinceppante!), il toraco (maglietta senza maniche in tessuto elastico!), il radiotelfo (casco con incorporato….. “apparecchio radioricevente con auricolari snodati”!), la spiova (cappello invernale antipioggia…) e tanto altro sempre sulla stessa linea inventiva. Un vero genio (della goliardia futurista)!
A Firenze assieme ad Antonio Marasco – del quale ho scritto qui qualche giorno fa, zio del cantautore Riccardo Marasco e miracolosamente sopravvissuto alla fucilazione fatta nel 1945 da partigiani – organizzò una Mostra futurista di pittura, scultura e arti decorative.
Verso la metà degli anni ’30 si verificarono degli screzi con ambienti ottusi del nazionalismo fascista che iniziarono a guardare con il paraocchi il cittadino svizzero, artista a tutto campo che invece rivendicava a voce alta il suo sentirsi fiorentino, italiano, fascista e futurista.
Quasi contemporaneamente, forse per reazione, iniziò ad occuparsi di filosofia, di alchimia e di esoterismo, ritirandosi nella villa (la Casa Gialla) che aveva acquistato in Versilia, a Tonfano.
Non cessò il suo fascismo, fu ricevuto da Mussolini che aveva scelto come soggetto per alcuni suoi quadri e sculture; entrò in relazione con il poeta Ezra Pound; mantenne relazioni artistiche con le frange più trasgressive del fascismo.
Nel 1935 con Enrico Prampolini progettò un Centro futurista e naturista di riposo e lavoro per artisti a Marina di Pietrasanta.
La guerra e la sconfitta del fascismo lo gettarono in uno stato di disperazione e prostrazione che lo portò ad isolarsi ancora di più. Del resto fu contemporaneamente ricambiato con l’emarginazione dai rappresentanti artistici dell’antifascismo della nuova Italia certamente non disposti ad accogliere un artista che non aveva abiurato neppure in presenza della stupida ostilità che – come abbiamo visto – alcuni ambienti fascisti (“da caserma” del pensiero o “caporaleggianti”, direi io) non gli avevano risparmiato.
Negli anni ’50, ormai fuori dalla scena artistica e isolato nella sua casa in Versilia, proseguì gli studi esoterici ma iniziò ad occuparsi anche del cielo. Frequentatore assiduo del fiorentino Osservatorio di Arcetri, nel 1954 dette addirittura vita ad un Centro ufologico (il CIRNOS – Centro indipendente raccolta notizie osservazioni spaziali), dedicandosi all’osservazione del cielo.
Morì a Marina di Pietrasanta (Lucca) nel 1959, il 29 aprile – la data di questa Effemeride – praticamente dimenticato.
Thayaht è sepolto nel cimitero evangelico degli Allori, a due passi dalla Certosa del Galluzzo, alle porte di Firenze sud, vicino a dove era nato, al Poggio Imperiale. Gli fanno compagnia altri stranieri innamorati di Firenze, tra noi venuti a vivere e a morire. Assieme a lui riposano agli Allori il pittore romantico svizzero Arnold Böcklin e quello tedesco Hans-Joachim Staude (tra l’altro padre della moglie di Tiziano Terzani), un artista quest’ultimo che tra le colline fiorentine a sud scelse di vivere dagli anni ’30, che fu soldato della Wehrmacht impegnato a Firenze come interprete e che nell’aprile 1945 era saltato dal camion sul quale si trovava nella ritirata verso il Brennero e, come attratto da una potente calamita, era tornato a Firenze dove era rimasto fino alla morte, nel 1973.
Come al solito, divago un pò dal tema, ma solo apparentemente perché il complesso intreccio di rapporti tra arte, politica e Firenze, oggetto dei miei interessi, va visto – pur nello stretto spazio di queste brevi note quotidiane – non semplificando, anzi, aggiungendo tassello a tassello!
Tornando a Thayaht, all’artista che è stato definito “alle origini del Made in Italy”, pare che negli ultimi anni si sia manifestato un certo interesse nei suoi confronti: una mostra si è tenuta nel 2008 al Museo del Tessuto di Prato; un’altra mostra gli è stata dedicata al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi di Firenze. Che sia un nuovo inizio? (dal gruppo FB Effemeridi del Giorno)