Secondo gli studiosi della politica come “narrazione” una comunicazione politica tradizionale, basata esclusivamente sulla trasmissione di contenuti e programmi, non solo non è efficace, ma risulta addirittura controproducente per chi si ostini a usarla asetticamente.
Quando la “narrazione”, nuovo lascito della crisi delle culture politiche, comincia a mostrare qualche smagliatura, anche ai leader più “scafati” non resta però che aggrapparsi ai rispettivi salvagente della memoria e della retorica di parte. Con risultati oggettivamente catastrofici, in termini di comunicazione, di contenuti e di programmi.
Non ha potuto fare a meno di aggrapparsi al salvagente della memoria e della retorica di parte, Matteo Renzi, che, dopo le accuse di autoritarismo piovutegli addosso in vista del referendum sulla Costituzione, ha cercato di coprirsi sul versante sinistro, ribadendo – in un’intervista a “la Repubblica” – che “L’antifascismo è elemento costitutivo e irrinunciabile della nostra società. Giusto tenere alta la guardia”. Sul fronte opposto, costretto a fare i conti con gli sgambetti del duo Meloni-Salvini, Silvio Berlusconi, che, in un intervento pubblicato da “il Giornale”, si è appellato al “… partito moderato, alternativo alla sinistra e alleato con la destra, come lo sono le forze politiche del Ppe più o meno in tutt’Europa. Un movimento liberale, cattolico, riformatore, che è diverso dalle rispettabilissime culture della destra”.
Quanta “narrazione” c’è, a questo punto, nelle parole di Renzi ed in quelle di Berlusconi ? Quanto i rispettivi “messaggi” sono comprensibili ? Quanta capacità hanno di entrare in relazione con il vissuto degli italiani? Siamo già alla fine del tempo dello storytelling, ovvero dell’arte di raccontare storie, così cara a certa contemporanea scienza della comunicazione?
Un dato è certo, oggi, al centro dell’attenzione degli italiani ci sono i temi concreti della quotidianità che gli appelli alla retorica di parte non possono annullare. Sono i numeri della crisi, così come ci vengono presentati, di giorno in giorno, parcellizzati, disaggregati, ma non per questo meno pesanti e drammatici per il vissuto di milioni di italiani. Sono i numeri relativi alla disoccupazione, alle nuove povertà, ai giovani costretti ad un’esistenza precaria, numeri che fanno il paio con l’emergenza abitativa, con la gente che non si cura, con il gap demografico, con il calo degli iscritti nelle Università. Dietro ad ogni rilevazione statistica ci sono uomini e donne in carne ed ossa con i quali è tempo che la politica torni a confrontarsi, evitando perciò gli appelli retorici o le formule di schieramento, coniugando “visioni lunghe” ed emergenze immediate.
Meno “narrazione” allora. E meno retorica di parte. Per “reinventare” l’Italia occorre piuttosto molta fantasia e spregiudicatezza. E più concretezza, per tornare a guardare in faccia la realtà senza alimentare la disperazione, una pessima consigliera a cui gli italiani potrebbero, alla fine, appellarsi, con risultati catastrofici per tutti.