Addio a Stefano Di Michele, firma de Il Foglio, giornalista politico di rango. Raccontò il Palazzo e i riti dei partiti con una leggerezza che era esattamente l’opposto della superficialità. Da un particolare trasportava il lettore in un percorso che evidenziava limiti e punti di forza della politica. Senza pregiudizi e con tanta raffinata ironia. Nel 1994 fu protagonista e co-conduttore, da giornalista dell’Unità, di “Sali e Tabacchi”, innovativa trasmissione di costume su Canale5, ideata con Pietrangelo Buttafuoco. Scrisse anche sull’Italia Settimanale versione finale e scapigliata. Poi per fondare l’avventura di Giuliano Ferrara lasciò il quotidiano di Antonio Gramsci. In vent’anni è stato geniale pittore di trame, storie e comete politiche. Raccontò anche con garbo e sensibilità rara nell’informazione politico-parlamentare il mondo delle destre postfasciste (anche con il libro “Mal di destra”). Ci mancherà. (Mdf)
L’autoritratto di Stefano Di Michele
“Diplomato in ragioneria, però con il minimo dei voti. Prima del Foglio, è stato per molti anni all’Unità. Ha studiato (con profitto) dalle suore, dove ha frequentato l’asilo e le elementari. E’ stato iscritto (non pentito) al Pci. Gli piace oziare, avere del tempo da perdere, leggere libri sui bizantini. Non viaggia, non sa l’inglese, non ha un blog, non capisce di calcio, non sa suonare nessun strumento musicale, non ha la patente. Ama appassionatamente i gatti, i papaveri e i cocomeri. Ne ha due (di gatti): Borges e Camilla. Detesta i cacciatori, la gente con la pelliccia, i toreri, i cristiani rinati (se non è venuta buona la prima ci sarà un motivo) e i Suv. Adora Elias Canetti, Borges (gatto e poeta), Brunella Gasperini, Pessoa, la Yourcenar, Cèchov, Kavafis, il suono della fisarmonica, il tenente Colombo, le strisce di Mafalda e andare la sera – a sentir racconti e a raccontare – dar filettaro. Da credente, è convinto che ci sia qualcosa di miracoloso e divino negli animali, negli alberi e nei versi di Emily Dickinson. In generale si fida della polizia, dei preti (a volte) e dei vecchi comunisti”.
Il francobollo di Mattia Feltri
Se vi è capitato di leggere articoli di Stefano Di Michele, sapete. Se invece no, è inutile spiegare. L’ultima volta che ci siamo visti è stato a fine gennaio, per i vent’anni del Foglio. «Vorrei tanto tornare a scrivere qualcosa, anche le brevi, anche una breve». Non gli è stato concesso, è morto ieri.
Il ricordo di Pietrangelo Buttafuoco
Il più ironico, il più dolce, il grande giornalismo in cui il dettaglio diventa romanzo.
E’ morto Stefano Di Michele, il mio compagno di banco.