Spesso abbiamo negli occhi un’immagine di Edward Hopper. Sulla lucente copertina di un libro. In un poster del soggiorno. Sulle magliette stampate, ecco un’immagine del famoso pittore realista americano. A questo attrattivo contatto quotidiano fornisce risposte la mostra bolognese ‘Edward Hopper’, a Palazzo Fava, aperta sino al 3 luglio 2016 e in collaborazione con il Whitney Museum of American Art di New York. Mentre osserva sessanta opere della produzione del pittore – dagli acquerelli dei primi anni del Novecento ai quadri degli anni ’50 e ’60 – il visitatore si accorge di trovarsi dinanzi a visioni psicologiche.
C’è una visione psicologica nel capolavoro ‘Second Story sunlight’ (1960) in cui due donne, sedute su una terrazza, guardano verso un simbolico altrove. I loro sguardi finiscono nel vuoto e il quadro sembra dipinto con le emozioni dell’attesa. Di Hopper attira quel mondo di paesaggi e architetture, di fari e spiagge in cui i personaggi attendono e questa attesa diviene un po’ la nostra. Il pittore americano pertanto è diventato iconico. Icona di un’America che si guardava dentro, che aspettava ciò che non giunse mai. Come la donna dell’opera in mostra, ‘New York interior’ (1921), ossia una figura femminile silenziosa in una camera da letto o come le signore intorno ad un tavolino, due spettatrici di un paesaggio ventoso e vuoto, nel dipinto ‘Le Bistro or the Wine Shop’ (1909).
La bella esposizione bolognese racconta la borghesia americana, quella disincantata e chiusa nelle sue ville in legno. Piace da sempre questa sobrietà borghese hopperiana sintetizzata dentro figurazioni di interni dipinti con la luce. Piace l’idea di un’America silenziosa raffigurata senza ricorrere al caos dei linguaggi avanguardistici del secolo. Piace inoltre la collaborazione tra le realtà che hanno organizzato il tutto, la ‘Fondazione Carisbo’, ‘Arthemisia Group, ‘Genus Bononie. Musei nella Città’, una collaborazione per incontrare un classico del Novecento o un’esperienza artistica intensa che si confrontò con i pittori francesi, durante il soggiorno parigino, dal 1906 a 1910.
Il pittore americano, l’uomo di un metro e novanta geloso della sua privacy creativa, infondo è il figlio di un’ Europa che, grazie ai suoi pittori impressionistici, insegnò al mondo artistico a tener insieme l’oggettività di un paesaggio e il sussulto delle emozioni.