Erano passati solo pochi giorni dalla morte per suicidio di Henry de Montherlant, avvenuta il 21 settembre del 1972. Il suo esecutore testamentario, Jean-Claude Barat, e un amico, Gabriel Matzneff (grande scrittore francese tuttora in attività), stavano pranzando al ristorante parigino Le Voltaire, erano al tavolo dove era solito sedersi il comune amico scomparso. Parlarono dell’ultima volontà dello scrittore: far spargere le sue ceneri a Roma, fra le vestigia dell’antichità.
Barat, unico erede di Montherlant, aveva effettuato tutte le procedure previste dal Ministero dell’Interno francese e dalla Prefettura parigina per ritirare le ceneri dal Père Lachaise. Gli accordi con le Autorità italiane erano stati verbali, telefonici.
Il 20 marzo del 1973 i due amici salirono sul treno Parigi-Roma dalla Gare de Lyon con l’urna cineraria in una valigia ben chiusa. Matzneff nel capitolo La tomba di Montherlant nel suo bel libro Le défi (La Table Ronde éditions), ricorda questo “strano viaggio che sembrava allo stesso tempo un pellegrinaggio e una missione segreta”. Il 20 marzo era l’anniversario della cremazione di Giulio Cesare – ricorda Matzneff in Le Défi – ed entrambi commentarono le parole che Giulio Cesare avrebbe detto in sogno al nocchiero del porto di Brindisi, riportate da Plutarco: “Va’ mio coraggioso, non temere nulla. Tu porti Cesare e la Fortuna di Cesare!”.
I due arrivarono a Roma e andarono all’hotel Lord Byron, non al Minerva, albergo preferito di Montherlant fin dal primo soggiorno romano del 1947. La mattina successiva i due amici alle 10 e 45, erano a Palazzo Chigi per l’appuntamento con un alto funzionario della Presidenza del Consiglio. Il loro interlocutore non c’era. Fu loro consigliato di ripassare a mezzogiorno. Fecero un giro nei pressi e approfittarono per fare un sopralluogo delle vestigia antiche dove spargere le ceneri dell’amico. Da via del Corso a piazza Venezia, dove Matzneff mostrò il famoso balcone di Mussolini a Barat. Scesero verso il Tevere dalla via del Teatro Marcello. Ammirarono il tempio rettangolare della Fortuna Virile di fronte a quello rotondo di Vesta. Se il tempio della Fortuna Virile era quello di Portuno era quindi anche quello di Mater Matuta, la madre di Portuno, il cui culto era unico per entrambi. Mater Matuta – osservarono Barat e Matzneff – era stata trasformata, dopo il suo suicidio, in dea marina e in seguito in dea dell’aurora. Ai due amici quel tempio sembrò adatto per le ceneri di Montherlant.
Tornarono a Palazzo Chigi puntualmente e attesero ancora mezz’ora. Quando incontrarono l’alto funzionario, dopo sue esitazioni e reticenze, ottennero un appuntamento per mezzanotte, davanti a Palazzo Venezia. I due amici francesi uscirono da Palazzo Chigi, pranzarono in un ristorante davanti alla fontana di Trevi e visitarono per tutto il pomeriggio altri angoli di Roma: la casa di Shelley-Keats, quella di lord Byron, piazza di Spagna, piazza del Popolo. A un certo punto si ricordarono di non avere nulla per aprire l’urna cineraria, in mogano verniciato, con un coperchio quadrato fissato con quattro viti.
Trovarono un negozietto di ferramenta e comprarono due cacciaviti. Tornarono nella stanza d’albergo e svitarono il coperchio: all’interno c’era un contenitore in latta. Un altro ostacolo! Lavorarono con entrambi i cacciaviti e riuscirono a praticare un buco. Trovarono della tela. La sollevarono con cura: ecco le ceneri del loro maestro, del loro amico. Stupore, silenzio, nodo alla gola, tutti e due bloccati dall’emozione. Vuotarono con attenzione le ceneri in due sacchetti e portarono con loro il contenitore di latta. Alle 21 uscirono dall’albergo. Decisero un piano in più tappe: andare subito al tempio della Fortuna Virile per spargere le ceneri di uno dei sacchetti. Temevano che in seguito potessero sorgere impedimenti. Poi, all’appuntamento con le autorità, in piazza Venezia, per andare a spargere, scortati, l’altro sacchetto di cenere fra le vestigia del Foro Boario. Dopo essersi congedati dai funzionari italiani, tornare verso il Tevere nel quale gettare l’urna in mogano e il contenitore di latta. Così fecero.
Matzneff descrive con toni religiosi il momento in cui versarono le ceneri di Montherlant, come se stessero officiando un rito funerario romano. Poi, andarono a cena e poi all’appuntamento davanti a Palazzo Venezia con il contenitore di latta sotto il braccio, l’urna con una buona parte delle ceneri. Rimasero in attesa e Matzneff ricorda che sembrò loro di fare la Tertia vigilia che, nell’esercito romano, corrispondeva al turno di guardia da mezzanotte alle tre del mattino. Dieci minuti dopo la mezzanotte, un’auto a 15 metri da loro lampeggiò, i due amici si avvicinarono e nell’abitacolo c’erano l’alto funzionario di Palazzo Chigi e un autista. Si avvicinò un poliziotto in borghese che salì in auto con loro e si diressero verso il Foro Boario. Barat e Matzneff potettero scegliere il luogo dove spargere le ceneri: un muretto vicino l’arco di Settimio Severo, proprio il luogo dove la tradizione vuole che siano stati allattati dalla lupa Romolo e Remo. Sparsero le ceneri. L’alto funzionario li accompagnò successivamente a Palazzo Venezia e si congedarono. Da lì i due amici si diressero subito verso il Tevere e, davanti al ponte Emilio, gettarono nelle acque l’urna e i sacchetti. Videro alla luce della luna l’urna che scivolava sulle onde scomparendo poi nel buio. L’antica Roma, la tomba scelta da Montherlant, antico romano.
Culattoni estetizzanti e patetici.