La riflessione dell’avvocato Massimo Ciullo sulla necessità, partendo dal caso di Brindisi, di stabilire un quorum di validità, oltre che per i referendum, anche per le amministrative
È veramente assurdo ed antidemocratico che se il 17 aprile non andranno a votare il 50 per cento più uno degli elettori il referendum non sarà valido, mentre se alle elezioni amministrative di giugno si dovesse recare alle urne anche solo il 40 per cento degli elettori avremo un governo che sarà espressione della maggioranza di una minoranza: neppure il 25 per cento dell’intero corpo elettorale.
Ed è ancora più assurdo ed antidemocratico che l’invito all’astensionismo proveniente dal capo del governo Renzi possa produrre un effetto contrario al SI referendario, mentre l’astensionismo spontaneo di tanti elettori che non si riconoscono nei candidati proposti dalle nomenclature di potere che ancora organizzano le proposte elettorali non debba, non possa incidere minimamente sul risultato del voto amministrativo e politico.
Ipotizziamo, malauguratamente, che a Brindisi il Movimento 5 Stelle non presenti il suo candidato sindaco e quindi la sua lista di candidati al consiglio comunale. L’effetto sarebbe innanzitutto un danno alla partecipazione democratica e un favore a tutti gli altri competitori espressione della vecchia politica, ma soprattutto comporterebbe un incremento notevole dell’astensionismo. È ovvio che chi in cuor suo si aspetta un rinnovamento attraverso il Movimento 5 Stelle, se tale gruppo non dovesse presentarsi, probabilmente non si recherà alle urne. Il distacco fra i 5 Stelle e gli altri partiti e liste civiche attuali è troppo grande perché ci possa essere un ripiego dell’elettorato.
Quindi, il problema è serio ed è di legittimazione del risultato elettorale che avremo a giugno, poiché con un forte astensionismo nessuno potrà sentirsi davvero legittimato a governare, salvo ad avere la solita faccia di bronzo dell’ipocrita al quale basta una certificazione formale del proprio risultato, anche quando questo non risponde alla volontà effettiva del Paese reale, per potersi dire vincitore.
Alle elezioni regionali siciliane del 2012, quelle che incoronarono Rosario Crocetta governatore, andò a votare il 47,5 per cento degli elettori. Crocetta prese 617.073 voti, ovvero il 30,5 degli aventi diritto. Su un totale di 4.647.159 elettori siciliani, quei voti equivalgono al 13,3 per cento. Crocetta è diventato governatore della Regione Sicilia con il voto di un siciliano su otto.
Alle elezioni regionali calabresi e emiliano-romagnole del 2014 andarono a votare rispettivamente il 43 e il 38 percento degli elettori. Si può parlare ancora di democrazia? Ma chi governa, in nome di chi governa? Se chi non va a votare non lo fa per pigrizia o per scarso senso istituzionale, bensì si rifiuta di votare proprio perché crede nella democrazia e nelle istituzioni, ma le vede violentate ed occupate da gruppi di potere che gestiscono i sistemi elettorali, con che coraggio canta vittoria chi viene eletto?
Anche per tale disaffezione alla politica sono fragili le amministrazioni e il potere politico che le sorregge.
Tra il 1948 e il 1972 in Italia la partecipazione al voto era del 92 percento. Un record, tra le democrazie. Ci furono due picchi, il 1963, l’anno della nascita del centrosinistra, e il 1968: votarono, rispettivamente, il 96,8 e il 96,3 percento degli aventi diritto. I sommovimenti sociali, culturali e politici si traducevano in voti.
Oggi, non solo non vi sono sommovimenti di alcun tipo, ma non vi è neppure una qualche indignazione per il malaffare che regna sovrano in tante istituzioni. In Islanda un popolo è sceso in piazza costringendo il primo ministro a dimettersi perché aveva esportato capitali all’estero; in Brasile altrettante manifestazioni di massa a causa di una intercettazione telefonica che rivelava la protezione tra politici. Invece, in Italia, fra non molto, la Procura della Repubblica dovrà pure chiedere scusa all’ex ministro Guidi e, a Brindisi, il massimo dell’indignazione viene espresso sempre contro Antonino, divenuto il malvagio per tutte le stagioni (che debba restare lontano dalla politica comunque è giusto), quando Massimo Ferrarese non è che si sia capito cosa abbia realmente fatto per sfiduciare tempestivamente Consales. Ed infatti il ben servito a Consales glielo ha dato solo la magistratura.
L’Italia è oggi, in Europa, il paese con il più alto tasso di astensionismo.
In un articolo sul Corriere della Sera, il costituzionalista Michele Ainis, a proposito dell’astensionismo diventato ormai il primo partito, scriveva: «Qualche dichiarazione preoccupata, qualche pensoso monito quando si chiudono le urne; ma tre ore dopo i partiti sono già impegnati nella conta degli sconfitti e dei vincenti. È un errore, perché qualsiasi maggioranza rappresenta ormai una minoranza. Ed è miope la rimozione del problema. Vero, gli astensionisti non determinano il risultato elettorale. Però se l’onda diventa una marea, significa che esprime un sentimento: d’indifferenza, nel migliore dei casi; d’avversione, nel peggiore. E il sentimento dai partiti si riversa sulle stesse istituzioni, le sommerge come durante un’alluvione».
È abbastanza curioso e grave che in Italia il quorum dei votanti sia previsto solo nelle elezioni del Sindaco e del Consiglio comunale nei comuni fino a 15.000 abitanti, ove sia presente una sola lista.
Qualora non si siano raggiunte tali percentuali, l’elezione è nulla. Sarebbe piuttosto da immaginare che tanto più grande sia una comunità territoriale, una comunità politica, tanto più necessario sia il raggiungimento di un quorum, cioè una legittimazione di consenso con una chiara espressione da parte dei cittadini. Invece, è il contrario. In Italia non è previsto alcun quorum dei votanti per le elezioni politiche ed amministrative e lo è invece per il referendum. Paradossalmente, alle elezioni politiche ed amministrative basterebbe anche un solo votante e l’elezione sarebbe valida.
Più ampio il raggiungimento del quorum, e maggiore è il convincimento che alla scelta abbia contribuito la più ampia “volontà generale”; mentre più esso è basso, più evidente risulta il fatto che la scelta, presa da pochi, non rappresenti la volontà di tutti.
La legge elettorale francese del 1919 si pose il problema: nel caso in cui il numero dei votanti in una determinata circoscrizione non superasse la metà degli iscritti, prescriveva che l’elezione dovesse ripetersi nelle settimane o mesi successivi.
Ecco, una soluzione così, oggi sarebbe davvero rivoluzionaria.
Se alle elezioni politiche ed amministrative non si raggiungesse il quorum del 50 per cento più uno le elezioni non dovrebbero essere valide e andrebbero ripetute.
Vuoti di potere non ce ne sarebbero, poiché – anche solo guardando il caso Brindisi – un commissario straordinario spesso ha sostituito sindaco, giunta e consiglio comunale. E, francamente, soprattutto rispetto all’ultima amministrazione Consales, tale sostituzione è stata percepita in meglio, visto che erano proprio gli eletti a dare la sensazione del vuoto istituzionale e della mancanza di risposte ai problemi della città.
Ma, soprattutto, il continuo ritorno al voto in caso di non raggiungimento del quorum, costringerebbe i vecchi partiti a rinnovarsi con figure che possano effettivamente raccogliere la fiducia e il consenso dei cittadini ormai stanchi e lontani dalle istituzioni, ed altresì indurrebbe i non votanti a trovare stimolo nell’organizzare nuovi movimenti politici che diano spazio a personalità libere non legate alle oligarchie di potere che, ancora oggi, soprattutto a Brindisi, da destra a sinistra, passando per il centro, muovono le fila della politica (Riccardo Rossi escluso).
Quindi, al referendum ci si rechi in tanti a votare per votare SI contro le trivellazioni in mare, ma nessuno si permetta di giudicare male chi non andrà a votare alle elezioni amministrative di giugno. Anzi, promuoviamo un movimento che lotti per introdurre il quorum di validità alle elezioni politiche ed amministrative.
Massimo Ciullo