«Ecco il governo Berlusconi». È una delle battute più amare per il popolo di sinistra che condivide tutta la sua frustrazione su facebook (ma la formula viene rilanciata anche da Enrico Mentana), già pochi istanti dopo la lista dei ministri snocciolata dal capo del governo incaricato Enrico Letta.
«Freschezza». Così invece Giorgio Napolitano ha definito la caratteristica fondamentale, a suo avviso, del nuovo governo da lui fortemente voluto. E in effetti la foto che verrà scattata tra qualche ora, dopo il giuramento, è quello di un esecutivo che si presenta senza troppe rughe da correggere con Photoshop. Quest’ultimo aspetto è il prezzo che i partiti hanno dovuto pagare all’ansia di nuovismo, da una parte, e al grillismo, dall’altra. Il dato politico, invece, è tutt’altro. Napolitano, gongolante come un ragazzino che sa di averla fatta grossa, lo ha precisato: «Questo è un governo politico», senza formule, senza “scadenza” quindi. Ciò significa che, nelle intenzioni del regista, questa compagine dovrà durare: si allontana così l’ipotesi di un’esperienza breve, di una “parentesi”.
Saranno “larghe” e anche “lunghe” queste intese nelle intenzioni dei suoi animatori. E su queste si staglia come vero vincitore proprio Silvio Berlusconi, per una serie di motivazioni. La prima è che, come aveva richiesto, le caselle riempite dal Pdl sono tante e pesanti: riempite, oltretutto, da alcuni dei suoi uomini (e donne) di fiducia. A partire dal “vice” di Letta che sarà Angelino Alfano nominato anche ministro degli Interni, da Maurizio Lupi alle Infrastrutture e da Gaetano Quagliariello alle Riforme costituzionali. Accanto a questi due donne vicinissime a Berlusconi come Nunzia De Girolamo alla Politiche agricole e soprattutto Beatrice Lorenzin alla Salute. Una compagine pesantissima sulle sorti politiche del governo. Berlusconi ha poi ottenuto che nessuno dei “big” figurasse nel nuovo governo: dato che per la sua figura troppo ingombrante posto non ce ne sarebbe stato.
Ma non finisce qui. Berlusconi ha vinto anche perché le altre caselle importanti non sembrano essere troppo “sgradite”. Aver affidato alla Giustizia ad Anna Maria Cancellieri, ad esempio, se non rappresenta proprio un nome vicino al centrodestra sembra comunque una rassicurazione “istituzionale” rispetto alla questione delle questioni: i processi a suo carico. Qualche problema potrebbe esserci con i nomi dei tecnici: con Fabrizio Saccomanni all’Economia (suggerito dal Colle), ma la presenza dei “montiani” non sembra così ingombrante. La scelta di Emma Bonino agli Esteri, poi, si innesta come tentativo di conciliazione con i grillini ai quali, in fondo, non sarebbe dispiaciuta dato che era una delle preferite per le “quirinarie”. Una mossa furba, che qualifica tutta l’intatta capacità e la fantasia politica di Re Giorgio.
Fin qui i vincitori. Grande sconfitto, invece, è proprio il Pd. Che non solo non riesce a piazzare alcuno dei suoi uomini nei dicasteri più importanti. Ma che esce oltretutto pesantemente sottodimensionato (quasi umiliato) dalla lista del suo stesso premier. Non bastano di certo Dario Franceschini (ministro senza portafoglio), il giovane turco Andrea Orlando all’Ambiente, il renziano Graziano Delrio agli Affari regionali e l’ex sindaco di Padova Flavio Zanonato (assieme a Massimo Bray alla Cultura e alla canoista Josefa Idem allo Sport) a rassicurare chi, fino a qualche giorno fa, fantasticava un “governo del cambiamento”. Una punizione a tutti gli effetti, questa, che porterà tutt’altro che una ventata di tranquillità in casa Pd. Sanno benissimo in largo del Nazareno, infatti, che sarà complicato adesso spiegare a una base in stato di choc la coabitazione in “minoranza” con l’odiato Berlusconi. A maggior ragione se è vero che ogni dissidente che non dovesse votare la fiducia a questo governo verrà cacciato. Ne vedremo delle belle allora. Proprio in casa dei “non vincitori”.