Letta uno. Questione di ore e, con ogni probabilità, il nuovo governo dovrebbe vedere la luce. Aldilà del fatto che diventi un governissimo, un governicchio o un governo “al servizio del Paese” e, tralasciando i nomi dei futuri ministri, si può giungere ad una conclusione inequivocabile: la sinistra – per lo meno quella idenditaria – è morta. Un leggero sentore si era già avuto già poco dopo la chiusura delle urne. La sinistra radicale, dopo il tonfo del 2008, ha ripetuto il tracollo quest’anno. Se Paolo Ferrero e Oliviero Diliberto sono fuori da un pezzo, si deve ad Antonio Ingroia, poi, l’esclusione di Antonio Di Pietro. Ora il governissimo relegherà Nichi Vendola all’opposizione ma non è tutto.
L’attuale situazione interna del Partito democratico sembra subire la stessa sorte. Con l’uscita di scena di Pier Luigi Bersani e la nomina di Enrico Letta a presidente del Consiglio incaricato, gli ex diesse hanno perso la golden share dentro il partito. Se da un lato è vero che numericamente sono più degli ex democristiani, è altrettanto vero che col tempo il loro peso specifico è diminuito tanto più sono aumentate le sconfitte. Tutte le più alte cariche dello Stato non provengono dal Pds/Ds, ad eccezione di Giorgio Napolitano che però, nella vicenda del Quirinale, è passato per essere il candidato dei “moderati”. Piero Grasso, presidente del Senato, pur essendo uomo notoriamente di sinistra, non ha mai militato nel vecchio Pci. Anche Laura Boldrin, eletta presidente della Camera in quota Sel, rientra tra i politici “indipendenti”.
La Presidenza del Consiglio, invece, dal ’48 ad oggi, non è mai spettata ad un ex o post comunista, ad eccezione del biennio dalemiano 1998-2000. Anche in quel caso, l’elezione al sommo scranno di Palazzo Chigi arrivò attraverso un inciucio di palazzo e non passò per libere elezioni. Ecco il punto: quando la sinistra vinse fu solo grazie all’ex democristiano Romano Prodi, e anche oggi questa stessa sinistra si affida a due ex (e giovani) democristiani per risorgere: Letta per la guida del governo e Matteo Renzi per la guida del partito. Passerà anche dal “primato della politica” a quello dei “due forni”?