“Presenza di Virgilio” di Robert Brasillach è un piccolo diamante dell’editoria non conforme. La traduzione dell’opera giovanile dello scrittore francese si deve al professor Claudio Mutti e all’Edizioni all’Insegna del Veltro, mentre il volume ha un raffinatezza rara grazie alla cura di Cristina Gregolin per copertina e fotografie.
Avevo consultato quest’opera nel 1996: con il Fuan avevamo intenzione di promuovere un convegno sullo scrittore francese alla Provincia (poi rinviato e mai più riproposto anche per l’ignavia di un accademico che cercava da sinistre prebende nella destra di governo). Con questo fine avevamo iniziato a ricercare i libri di Brasillach nelle biblioteche accademiche e non della città. Da qui la sorpresa: una copia de la “Présence de Virgile” era nella facoltà di Lettere, nel dipartimento del professor Luciano Canfora…
L’attualità del magister
Rileggere le riflessioni di Brasillach su Virgilio è un utile esercizio per comprendere l’attualità della figura del “magister”: il poeta mantovano rappresentò uno stile “nobile e idealizzante, contrapposto in alcuni casi al presunto realismo di Omero”. Al tempo in cui fu pubblicata l’opera – nel 1931 per “La librairie de la Revue Francaise” – gli intellettuali europei del tempo maneggiavano con perizia Virgilio (“Il poeta dell’ordine, il poeta dello Stato e della nazione, il poeta dell’Impero”) e l’Eneide, mentre risulta evidente come lo stesso Brasillach fosse sedotto dall’atmosfera mediterranea degli scritti virgiliani, nonché da “il sogno della giovinezza”, rielaborato ne “Il nostro anteguerra”, nonché cardine del romanzo “I Sette colori” (edito da Guida e Ciarrapico).
La nobiltà virgiliana diventa così una linea riconoscibile della produzione letteraria di Brasillach, discepolo del Virgilio che “aveva ammirato la forza, volendo che fosse pietosa e giusta. Era stato immensamente tenero, senza cadere quasi mai nell’utopia e scambiare i sogni per la realtà. Seppe conservare ai suoi incantesimi una potenza che non fosse nefasta”. Qui, con una potenza mitopoietica, emerge in pieno la categoria della “pietas” virgiliana, segno millenario di distinzione della cultura tradizionale italica.
Nel giovane Brasillach, come scrive Attilio Cucchi nell’introduzione, c’è l’identificazione con un poeta che declina un patriottismo attivo, contaminato dalla ricerca di senso e dalla rispetto per il sacro.
“In lui (Virgilio ndr) era forte il sentimento di ciò che lo legava alla sua terra e ai suoi antenati. Il poco che ne sapeva, deformato da incerte tradizioni familiari, lo induceva a provare un infinito rispetto per gli sforzi dei piccoli coltivatori mantovani, dei soldati, dei mercanti; si sentiva legato a razze sconosciute, avide di guadagno, o a razze portate al sogno che anch’egli amava, sapendosi di ascendenze sia celtiche che etrusche”.
Poi lo scrittore fascista francese formalizza, esplorando il vissuto di Virgilio, una straordinaria definizione di avanguardia, in opposizione alla stravaganza:
“Il grande genio che consacrerà le scoperte dell’avanguardia, le umanizzerà e le integrerà in un ideale universale comprensibile agli uomini”.
C’è, nella biografia, anche la definizione di epopea, di narrazione mitologica, che muove la speculazione virgiliana su Enea:
“L’epopea presuppone un’anima semplice, una capacità di fare degli eroi tipi perfettamente definibili in due o tre parole e di ridurre tutte le lotte dell’umanità a sentimenti chiari: l’amore per la patria, la violenza, l’eroismo, la viltà, l’astuzia, la fedeltà coniugale”.
In conclusione lo stesso Brasillach indica una chiave di lettura della “Presenza di Virgilio”, che facciamo nostra: “Si è voluto che il lettore potesse cominciare questo libro come se si trattasse della storia d’un giovane italiano del 1930. (…) L’uomo cambia poco, e le sue preoccupazioni, anche letterarie, ricompaiono simili dopo alcuni anni. E Virgilio è un uomo dell’epoca presente“. Come Brasillach, nella nostra educazione sentimentale.
*Presenza di Virgilio di Robert Brasillach (pp. 250, euro 22, Edizioni all’insegna del Veltro)