Sta per arrivare nelle librerie Martin Heidegger. La verità sui Quaderni neri di Friedrich-Wilhelm von Herrmann, ultimo assistente del filosofo, e Francesco Alfieri, docente di Fenomenologia della religione alla Pontificia Università Lateranense e studioso di lungo corso di Edith Stein. Il saggio, pubblicato da Morcelliana, gode di apparati consistenti: una prefazione di Arnulf Heidegger, nipote del pensatore, uno scritto di Leonardo Messinese, un’appendice «giornalistico-documentaria» a cura di Claudia Gualdana e ben 150 pagine di nuova traduzione degli Schwarze Hefte, divisa per unità tematiche, con originale a fronte e analisi filologica. Si tratta di un libro atteso, già opzionato da diversi editori nel mondo: è stato detto da più parti che porrà fine alla vexata quaestio del presunto antisemitismo del filosofo di Meßkirch.
Negli ultimi mesi la polemica è tornata scottante; chi era presente all’incontro con Claudio Magris all’USI, organizzato dal Corriere del Ticino lo scorso 25 gennaio, ricorderà che fu uno dei temi della serata su cui il germanista e scrittore rispose con più passione. Certo, per dirla con George Steiner «ci vorranno generazioni, se non secoli, per circoscrivere il problema Heidegger». Tuttavia, se un merito avrà il saggio di von Herrmann e Alfieri, sarà quello di rendere più difficili le operazioni strumentali che si sono addensate negli ultimi mesi sui Quaderni neri e di ricondurre gli studiosi alle fonti, cioè aitesti filologicamente depurati da cascami mediatici e riflessi pavloviani. In questa pagina ne parliamo con gli autori e pubblichiamo stralci di lettere inedite di HansGeorg. Gadamer, in esclusiva per il Corriere. I lettori le troveranno nella loro interezza all’interno del libro, insieme ad altri inediti dirimenti.
Professore, c’è chi ha proposto di «rileggere nuovamente» tutto Heidegger alla ricerca di prove di un possibile antisemitismo nascosto. Richiesta fondata?
VON HERRMANN – «L’idea è frutto del secondo convegno sugli Schwarze Hefte organizzato a Friburgo da Günter Figal, il quale prende di mira gli scritti di Heidegger a partire dal 1931. Penso si tratti di un’operazione azzardata che purtroppo rivela un’incapacità filosofica di fondo: la non conoscenza del pensiero heideggeriano. Se partiamo dal presupposto, infatti, che i relatori che hanno sottoscritto una simile proposta abbiano già letto e studiato i testi in questione prima ancora che uscissero alle stampe i Quaderni neri e senza avervi mai riscontrato tracce di antisemitismo, suscita abbastanza stupore che proprio ora si mettano a cercare ciò che non troveranno mai. Ipotizziamo: o a questi studiosi sono rimasi fino ad oggi ignoti i sei grandi trattati che vorrebbero mettere al vaglio – in sostanza parliamo dei volumi 65, 66, 67, 69, 70, 71 della Gesamtausgabe– o non li hanno mai compresi».
Allora perché promuovono una simile operazione?
V. H. – «Le opere che vorrebbero mettere sotto inchiesta costituiscono uno spartiacque filosofico nel percorso di Heidegger. Evidentemente tali studiosi non hanno un grado di lucidità necessario per ripercorrere a livello intellettuale la svolta che ha mosso il pensiero di Heidegger in quegli anni, quando da Essere e tempo il filosofo orienta la sua ri flessione verso il pensiero storico-ontologico. Per seguire questo itinerario abbastanza complesso non occorre soltanto procedere in modo sistematico, ma bisogna essere dotati di strumenti linguistici heideggeriani. Supporre o sostenere che il pensiero di Heidegger in questa fase possa essere contaminato da idee antisemite è un corto circuito, un’operazione azzardata e priva di risultati».
Da dove parte la discussione così frenetica che da mesi si sta consumando sui quotidiani tedeschi e italiani?
FRANCESCO ALFIERI – «Tutto quello che vi ritroviamo è solo una piccola visione che coi manoscritti di Heidegger ha poco o nulla a che fare. È altresì impensabile poter chiarire il caso Heidegger sui quotidiani o utilizzare questa piattaforma per sviluppare una ri flessione sistematica. I Quaderni neri sono dei taccuini in cui furono abbozzate in maniera non sistematica le Überlegungen e le Anmerkungen che il pensatore voleva marcare per poi riprenderle nelle sue opere. È come se Heidegger arrestasse una piccola parte di pensiero da sviluppare successivamente. Il pericolo accaduto con la pubblicazione degli Schwarze Hefte è stato creato da chi li ha presi e in parte letti dimenticandosi della complessità del linguaggio heideggeriano.
Quello che si è potuto leggere sui quotidiani è la prova tangibile di che cosa significa scrivere nonostante non si conosca Heidegger, scrivere senza capire, scrivere pur non essendo un addetto ai lavori. Ecco il divario tra il filosofo e il non filosofo. Uno dei motivi per cui l’uscita del nostro libro, annunciata per il 27 gennaio, è slittata è che non siamo stati sedotti dalla fretta di buttare in piazza le prime cose che abbiamo trovato, ma abbiamo voluto verificarle ancora una volta. Le pagine culturali dei giornali, inoltre, soffermandosi sull’aggettivo “neri” – che non indica il contenuto tematico ma la classifficazione – hanno creato un alone di mistero: nazista e antisemita sono state le due chiavi interpretative comuni che non hanno richiesto nessuno sforzo del pensiero. È stata così generata, con il sostegno di alcune note testate, una grande e dannosa selva interpretativa. Tutto è stato soggetto a letture private, creando un monopolio su Heidegger. La comunità scientifica se n’è subito tirata fuori».
Accuse che vanno avanti da decenni a partire dal 1987. Da due anni, poi, il curatore degli Schwarze Hefte, Peter Trawny, ha dato avvio ad una lettura personale dei Quaderni. Di rimando, come conseguenza naturale in Italia, Donatella Di Cesare ha continuato sulla via del curatore tedesco, cercando di distinguersi e introducendo alcune varianti. Entrambi parlano di antisemitismo, seppur con sostanziali differenze. Che testi hanno letto per arrivare a una simile deduzione?
V. H. – «Quelle addotte da Trawny e dalla Di Cesare sono interpretazioni nate da una lettura puramente ideologica degli Schwarze Hefte, purtroppo priva di una rigorosa ermeneutica filosofica. Donatella Di Cesare persegue con le sue assurde accuse di antisemitismo, nelle quali supera addirittura Trawny, uno scopo soggettivo. Il motivo del suo agire è senza dubbio una forte passione per la filosofia e la politica ebraica, per questo assume ingiustamente posizioni sull’antisemitismo di Heidegger che si contraddicono in se stesse e che sono talmente fuorvianti che possono essere liquidate già dai non-filosofi con una risata».
Ma forse vi erano fondati motivi per parlare di antisemitismo.
V. H. – «Conosco Trawny, il quale dopo aver conseguito l’abilitazione alla libera docenza non ha ottenuto nessun impiego universitario. Fino al suo incarico come curatore dei Quaderni neri, posizione per la quale io l’avevo caldeggiato sulla base della conoscenza che avevo allora del suo carattere, egli si presentò come studioso entusiasta di Heidegger. Tuttavia, dopo lunghi anni segnati dalla mancanza di un riconoscimento accademico, avrà forse visto nei quattordici passi (nei volumi 95, 96, 97, n.d.r.) riferiti agli ebrei – categoria che non compare nelle altre opere e che è tutta da chiarire, e infatti la chiariremo nel nostro libro – l’occasione di presentarsi sotto una veste nuova e di attirare l’attenzione su di sé come interprete di Heidegger, etichettandolo come un pensatore oscuro macchiato di antisemitismo. Mi dispiace, perché in ambito scientifico purtroppo egli ha perso così ogni credibilità. Gli rimangono i quotidiani».
Cosa pensa della Di Cesare? Negli ultimi mesi ha raccolto consensi.
V. H. – «Sì, solo sui giornali. Prima di tutto, occorre dire che le sue pubblicazioni fino a qualche anno fa non sono state mai incentrate su Heidegger, mentre ora ella è una specialista, o meglio, una specialista dell’antisemitismo di Heidegger. Ma ci sono alcune cose che mi hanno fatto dubitare della sua capacità di capire Heidegger fino in fondo. Quando, ad esempio, sostiene che in Essere e tempo non avrebbe dovuto trattare dell’essere-per-la-morte, ma dell’essere-per-la-vita. Ciò mi fa constatare come abbia frainteso tutta l’analitica esistenziale nel pensiero di questo filosofo. Ritengo che la Di Cesare non abbia la giusta lucidità e i giusti strumenti ermeneutici per potersi approcciare non solo ai Quaderni neri, ma pure alle restanti opere di Heidegger. Non dico nulla di ingiustificato, basti pensare che le sue pubblicazioni e quelle di Trawny non sono mai state recensite seriamente da nessuna rivista scientifica. Questo la dice molto lunga. L’operazione innescata da questi due scrittori è votata al fallimento. Quando il lettore studierà il nostro libro si accorgerà di una differenza: che esiste Heidegger e anche un’idea di Heidegger. Bene, Trawny e la Di Cesare hanno montato un’idea di Heidegger che ha poco a che fare con il pensatore».
F. A. – «Aggiungo che Trawny parla di “antisemitismo onto-storico” che contaminerebbe l’opera heideggeriana almeno dal 1936, ma in sostanza l’ipotesi è lanciata e confutata da lui stesso nel suo libro (Heidegger e il mito della cospirazione ebraica, 2014, n.d.r.). Se si leggesse con attenzione quest’ultimo, ci si accorgerebbe che nell’introduzione Trawny parla di antisemitismo, poi ipotizza che le sue dichiarazioni possano essere parziali o anche errate, invita a discussioni future in cui si possa confutarlo o correggerlo, “lui ne sarebbe lieto per primo”, e infine, a chiusa del libro, dice “che l’antisemitismo ontostorico non significa affermare che il pensiero ontostorico sia antisemita in quanto tale”. Quindi non solo Trawny è smentito dall’analisi filologica che ho realizzato nel saggio, si è pure smentito da solo. Se fosse vero, poi, che Trawny rimette volentieri in discussione i suoi risultati, non si spiegherebbe il livore delle sue dichiarazioni e come ha condotto tutta la partita, quasi tentando di mettere a tacere le voci contrarie, prima tra tutte quella di von Herrmann. In Francia lo studioso e discepolo di Heidegger François Fédier ha dimostrato pubblicamente che le accuse di antisemitismo sono infondate. Nonostante questo Trawny e chi segue la sua strada si sente impossibilitato a ridiscutere le proprie posizioni, perché dimostrerebbe pubblicamente il fallimento di una macchinazione che ormai dura da più di due anni».
Torniamo al vostro libro. Perché avete preferito ritradurre molti passi dei Quaderni neri? Le versioni pubblicate da Bompiani sono recentissime, l’ultima (Quaderni neri 1938/39. Ri- !essioni VII-XI) è appena uscita. Non bastavano?
F. A. – «Anzitutto non ho ritradotto i passi utilizzati, ma li ho tradotti ex novo perché mi sono accorto che la traduzione Bompiani non è riuscita a fare a meno della strumentalizzazione di questi testi. Le leggo un passo dell’avvertenza della traduttrice: “Il neutro collettivo con il quale Heidegger (…) indica alcune precise comunità etniche o nazionali – Russentum, Slaventum, Chinesentum, Amerikanertum… – è stato reso con ‘carattere russo’, ‘carattere slavo’, ‘carattere cinese’, ‘carattere americano’. Unica eccezione è stata fatta, per Judentum (…) che in questo secondo volume dei Quaderni fa la sua scabrosa comparsa, e che è sempre stato reso con ‘ebraismo’».
Cosa non va in questa precisazione di Alessandra Iadicicco, stimata professionista proveniente dalla scuola di Franco Volpi e che ha in curriculum ottime traduzioni di Ernst Jünger?
F. A. – «La traduttrice ha lavorato con Volpi alla versione dei Beiträge e conosce bene Heidegger. Purtroppo, nonostante nell’avvertenza al volume 95 abbia detto che tradurre non significa addomesticare Heidegger, ha dimostrato, innanzitutto con l’introduzione di “scabrosa comparsa” riferita al termine Judentum, come la traduzione italiana abbia un vizio di fondo. Su uno dei punti cruciali da cui è nata tutta la bagarre interpretativa su Heidegger, proprio su quel punto la traduttrice compie una operazione che, anziché aiutare il lettore a riequilibrare la situazione, crea volontariamente un caso».
Secondo lei, è stata influenzata dalle interpretazioni di Trawny e della Di Cesare?
F. A. – «Dal suo inciso si deduce chiaramente che non solo conosce tali interpretazioni, ma le conosce così bene da torcere il termine Judentum fino a forzarne la traduzione e isolandolo da tutto il contesto più ampio nel quale è inserito. Dimostra così di andare al di là delle intenzioni di Heidegger. È necessario tornare al paragrafo 19 dei Beiträge, altrimenti si rischia di falsare l’interpretazione dei testi. Quando Heidegger pone la domanda “Chi siamo noi?”, il “noi” non è identificativo con l’esclusività di un solo e unico popolo: “Noi non siamo i soli, bensì un popolo con altri popoli”. La storia dell’Essere in Heidegger non fa mai riferimento a un popolo in particolare, anzi, in un passo dei Quaderni il filosofo si riferisce a un sapere che “non è tedesco o francese o inglese, ma a fondamento di tutte le nazioni”. Il riferimento alle comunità etniche o nazionali o religiose non ha nulla a che fare con il percorso storico-ontologico. Ecco perché nel nostro libro non abbiamo utilizzato la traduzione Bompiani, che credo sia sconsigliabile per una lettura oggettiva degli Schwarze Hefte. Di certo Volpi, ipotizzo, avrebbe condotto i lavori sotto altra forma, con altri criteri».
Ritiene che il vostro saggio basterà a chiarire il caso?
F. A. – «Credo potrà essere uno strumento per ritornare ad Heidegger e per capire, allo stesso tempo, i rischi della cultura strumentale che si produce dai fraintendimenti. Guardi, nel libro sono presenti tre lettere inedite di Gadamer a von Herrmann, è stata la loro cura filologica a rallentare l’uscita del volume: vogliamo dare al Corriere del Ticino due eserghi di tali missive. E faccio una considerazione. Gli inediti di Gadamer sono dirimenti per il caso Heidegger, già “scoppiato” nel 1987 attraverso l’operazione di Victor Farías. Il comportamento tenuto da Gadamer ci sarà di aiuto su come fronteggiare questa situazione in cui, primo tra tutti, il giornalismo si mostra come via privilegiata per la proliferazione di fraintendimenti. In questo Heidegger ci è maestro: “Ancora più devastante dell’ondata di calore della bomba atomica è lo ‘spirito’ sotto forma di giornalismo mondiale. Quella annienta causando semplicemente un’estinzione; questo annienta installando la parvenza dell’essere sullo pseudo-fondamento dell’assoluta assenza di radici. Il giornalismo ormai assoluto seda l’angoscia di fronte al pensare, divenuta oggi stile, attuando così la più radicale estirpazione del pensare”. È dagli Schwarze Hefte, Annotazioni II, paragrafo 81»
Qual è il ruolo della casa editrice delle Opere complete di Heidegger, la Vittorio Klostermann di Francoforte?
V. H. – «La Vittorio Klostermann, nella pubblicazione dei quattordici passi riferiti agli ebrei in tre dei volumi degli Schwarze Hefte, ha perso la capacità di misurare il senso di tali frasi. Non era nella condizione di valutare autonomamente i testi in questione. Perciò si è lasciata sedurre dalla tesi di Peter Trawny sull’antisemitismo, restando soprattutto preoccupata che la casa editrice potesse, altrimenti, essere messa da parte ed etichettata come di destra. Si pensi che Vittorio E. Klostermann è amico, a Francoforte, del proprietario della casa editrice Roter Stern, il quale è di sinistra».
E per finire, del gioco di dimissioni all’interno della Heidegger-Gesellschaft cosa ne pensa?
V. H. – «Durante la direzione di Günter Figal, con Donatella Di Cesare come vicepresidente, mi sono tenuto lontano dai convegni che organizzavano. Fu Figal, in quanto allievo di Gadamer, a volere la Di Cesare, pure lei allieva di Gadamer, come sua rappresentante nel consiglio direttivo della Società. La carica di lei nel ruolo di vicepresidente fu temporanea, dal momento che Arnulf Heidegger non voleva prolungarla proprio a causa della posizione assunta dalla Di Cesare contro Heidegger. Per quanto mi riguarda, dopo l’entrata in carica dei due non ho più nemmeno partecipato alle riunioni della Società. Dimessosi Figal da presidente, il comitato del quale sono socio sin dalla fondazione ha eletto il professor Helmuth Vetter di Vienna, con cui sono da decenni in amicizia. Con il suo ottimo saggio pubblicato nel 2014 presso l’editore Felix Meiner di Amburgo, Grundriss Heidegger, penso fosse in qualche modo predestinato all’incarico. La Martin-Heidegger-Gesellschaft si riunirà dal 6 all’8 maggio a Vienna per la prima volta sotto la direzione del professor Vetter»
da Il Corriere del Ticino