Secondo i dati raccolti da Luigi Curini, professore associato all’Università Statale di Milano, in uno studio dal titolo “Experts’ political preferences and their impact on ideological bias”, pubblicato per la rivista scientifica “Party Politics” e presentato all’Istituto Bruno Leoni, la distribuzione delle preferenze politiche dei professori sull’asse sinistra-destra mostra un netto sbilanciamento a sinistra: si parte da un livello elevato di vicinanza rispetto alle idee di Sel, poi la curva sale sempre di più man mano che ci si avvicina al Pd e crolla fino a sparire quando si arriva a Forza Italia e Lega.
In Europa i politologi italiani sono i più a sinistra di tutti: su una scala che va da 1 a 20, dove 1 è l’estrema sinistra e 20 l’estrema destra, gli esperti in Italia si posizionano attorno al 6, con una varianza abbastanza stretta (la pensano tutti più o meno allo stesso modo). In Spagna sono a 8, nel Regno Unito a 9, in Germania a 10.
Il discorso va plausibilmente allargato a tutto il mondo intellettuale. Per quanto le vecchie schematizzazioni ideologiche appaiano sempre più sfuggenti, certe appartenenze “maggioritarie” nel mondo accademico, nella cultura e nell’informazione sono nulla più che una maschera rassicurante, dietro cui nascondere le proprie contraddizioni ed un sostanziale conformismo, rispetto al “pensiero unico”d’impronta liberista.
Di sinistra ma ben attenti al proprio potere e quindi alla conservazione del sistema dominante ? E’ culturalmente plausibile ?
A sbrogliare la matassa intellettuale ci aiutano le analisi di Charles Robin, autore de La Gauche du capital (ora, in traduzione italiana La sinistra del capitale e dell’alta finanza, Edizioni Controcorrente).
In un’intervista pubblicata da “Diorama Letterario” (novembre-dicembre 2015, n. 328) Robin sintetizza l’alleanza oggettiva tra estrema sinistra “libertaria” e destra “padronale” nella sottomissione sia ai totem ideologici “di sinistra” (il Progresso, la Diversità, la Tolleranza, ecc.) che al “progetto di civiltà a vocazione universale” di matrice liberista, nel quale trovano posto le massicce delocalizzazioni, l’immigrazione da lavoro, la liberalizzazione incontrollata. All’intellighenzia di sinistra le idee di “norma”, di “limite” e di “frontiera” (idee non sono geografiche ma anche morali e perfino affettive) stanno strette come al capitalismo mondialista, interessato a diffondere le proprie produzioni, il mercato unico, omogenei modelli economico-sociali, l’idea dell’”uomo medio”, atomizzato e consumista.
Certe appartenenze intellettuali “a sinistra” non sembrino perciò in contraddizione con la sostanziale acquiescenza verso il “pensiero unico” liberista. Come nota Robin “ … il capitalismo si esporta molto meglio sotto le bandiere multicolori di Benetton che sotto le uniformi dell’Esercito e della Tradizione”. Davanti a queste bandiere – aggiungiamo noi – i “pifferai della rivoluzione” progressista, pronti a suonare gli inni dell’”etica personale” e del “desiderio individuale”, dell’ uomo sradicato e apolide.
Bandiere multicolori ed inni “progressisti”: due facce – in fondo – della stessa moneta truffaldina.