“Mentre. Congiunzione. Che congiunge. Momenti. Tempi…. Nel momento stesso in cui. Nel tempo in cui. Intanto che. E tutto il resto nel mentre è accaduto comunque. …Sono queste le contraddizioni del mentre. Quelle per cui tutto è, nello stesso momento in cui non è già più. E tutto non è più, nel momento stesso in cui è già. Dipende dal punto di vista. Che non è mai uno soltanto, neanche nelle storie con un solo protagonista. Perché mentre lui si dimena per sopravvivere, qualcuno racconta e qualcun altro ascolta”
C’è chi racconta ed è Ornella Sgroi, c’è chi ascolta e c’è chi, mentre, si dimena per sopravvivere e sono i personaggi di “Le contraddizioni del mentre”( ed. Le Farfalle, 2015). Ornella Sgroi è una giornalista. E’ anche un critico cinematografico, di quelli cui al sentire la parola cinema brillano gli occhi. Brava Sgroi, a pennellare con rapidità intelligente il quadro di un film. La rapidità che è pure nella scrittura di questo suo esordio narrativo “Le contraddizioni del mentre”.
Sedici racconti brevi costruiti sul tempo fluido della durata, il mentre appunto. Il connettivo temporale- che introduce ogni racconto- fluisce dentro vite semplici, colte nella normalità di un momento che esiste nell’oggettivo scorrere dei secondi, minuti, ore così come nella percezione degli stati d’animo dei personaggi. Istanti diversi nella stessa clessidra.
Una raccolta costruita sul ritmo. I piani temporali si muovono non tanto sulla linea del tempo (passato-presente- futuro) quanto sulla velocità. Per cui ci sono la frenesia, l’ansia, la fretta come in “24 minuti” o in “Morta a Venezia” o in “Semaforo rosso” dunque il tempo veloce, sudato, accaldato; e poi l’attesa e la pausa e la fine dunque il tempo lento, immobile, umido, disordinato come in “Gioielli, soprammobili e santini” o in “Late bloomer” o in “Senza lapide”. A dover trovare un movimento allo spartito di queste short stories si direbbe un “allegro ma non troppo”.
Il tempo nell’introduzione è riportato sì alla descrizione grammaticale ma di formalismo linguistico vi è ben poco, se non l’antifrasi che fa scivolare la grammatica nella filosofia del Tempo. Un’affermazione di Husserl, riguardo al tempo fenomenologico, potrebbe essere la didascalia ai racconti: “Ogni singola esperienza vissuta, come può cominciare così può finire e chiudere la sua durata, come fa, per esempio, l’esperienza di una gioia. Ma la corrente delle esperienze non può né cominciare né finire.” L’eterno presente dell’uomo di Borges “magico animale nell’attualità, nell’eternità costante”. Il tempo interiore e le sue declinazioni: il tempo spezzato -nell’andirivieni dei sentimenti, della réverie-; il tempo straniato -nei frequenti flashback e nell’indagine dell’anima fino alla “citazione” della psicoanalisi-; il tempo del mito; il tempo ritardato, dell’amore.
Quella di Ornella Sgroi è una scrittura al femminile. Non ha solo l’agilità passionale dell’animo femminile al netto però di bovarismo, del femminile ha anche la molteplicità dello sguardo, la capacità di raccogliere nella sintesi del sentimento gesti ed eventi. La stessa capacità di sintesi che rende graziosamente speculare il triangolo narratore-lettore-personaggio. Non accade spesso che mentre agiamo a volte ci rivediamo quindi leggiamo? O raccontiamo a noi stessi autobiografie bugiarde oppure edulcorate o ancora ideali? E non amiamo calarci in ruoli cui non siamo abituati? Si sospetta nel libro un’urgenza: scrivere un po’ di sé, fare il punto della situazione, mettere una dietro l’altra immagini possibili della vita di una donna alle prese con la quotidianità un po’ mediocre, di certo antieroica.
In “Le contraddizioni del mentre”c’è Ornella Sgroi perché c’è tanto cinema, nel senso che innanzitutto forte è la tentazione del cortometraggio, come nel racconto “Semaforo rosso” o come in “Paternità” che ricorda l’inizio di un corto di Martin Scorsese del 2007 “The big shave”. Il cinema è poi nel posizionamento del narratore. Chi racconta riprende con una piccola cinepresa montata sulla penna i personaggi e gli ambienti, le parole dei primi e i colori dei secondi, muovendosi come su una camera-car. La “contraddizione” della scrittura, lo scorrere mentre. Cinematografica è la scrittura: nessuna indulgenza al lirismo, nessuno straniamento lessicale, nessun artificio e poi all’improvviso irrompe lo stile onirico a metà tra l’enigmistica e lo stile combinatorio come in “Voce del verbo futuro”, un gioco di segni e lettere quasi a consegnare la speranza o il disincanto- chissà?- di uno “scorrevole” domani. Una scrittura che mentre scrive fotografa. Fotografa le anime. Con un occhio alla lezione cinematografica anche francese – specie in “Late Bloomer” o in “24 minuti”- o a certo realismo del cinema “giovane” italiano come in “IL”.
Ha l’andamento e l’atmosfera di un film muto “La dea di Lampedusa”: il mito, le nostre leggendarie radici, il presente scolpito dentro la pietra del mito, la dicotomia ragione- cuore, lo specchio- Atena la dea acefala e Alina gli occhi marrone miele e i capelli ondosi- l’invidia e la solitudine.
“ La dea acefala la guardava ammirata. Attraverso i pori del marmo di cui era fatta, che le facevano da occhi. Sentiva la sua femminilità, la sua giovinezza. La sua solitudine. Quella stessa solitudine che anche lei avrebbe avuto nel suo sguardo, se sol avesse avuto ancora la sua testa”.
Particolare è nel libro l’esaltazione, il mettere in risalto l’innocenza della donna. Le figure femminili sono prive di vizi e spregiudicatezza, hanno difetti ma non vizi. Sono donne alla ricerca di una dimensione, che sia professionale o esistenziale o amorosa. E nella loro ricerca procedono con pudore, quasi con virtù. Donne in rosa che se fossero un film sarebbero la versione arrotondata di “Il diario di Bridget Jones”, se fossero un personaggio sarebbero un po’ Amélie di “Il favoloso mondo di Amélie” un po’ Sibilla Aleramo un po’ le donne delle “Lune di Giove” di Alice Munro. A proposito della Aleramo, le donne rispondono al canone meravigliosamente muliebre di conciliare indipendenza e pragmatismo con passionalità e sentimentalismo. Donne, dall’intelligenza vivida e acuminata, a una svolta: una delle piccole o grandi svolte quotidiane che plasmano le vite e i caratteri, e che potrebbero forse passare inavvertite se Ornella Sgroi non avesse deciso di fissarle in una pagina. Per molte di loro la svolta è amorosa, e in qualche caso la reazione è rabbia risolutiva. La svolta amorosa: “Late bloomer” è il racconto sinuoso di una rapporto erotico. Bello. Perché testimonia la connessione strettissima, il rincorrersi di visioni e parole. Perché è il più inatteso, per la carica passionale delle immagini cui manca però l’elemento seduttivo, oscuro, la tonalità fascinosa della passione. Perché vi è il fascino del Taoismo, il congiungersi dello Yin e Yang.
“Mentre lo sentiva entrarle dentro, rimase sorpresa di scoprire che in quel preciso momento non avrebbe voluto essere da nessun’altra parte se non lì. Con lui. Sotto di lui. Stretta a lui. In un incastro perfetto da sembrarle quasi prodigioso”.
La rabbia: “Schifo” ha un modo originale di raccontare i corpi. Il corpo come mezzo e oggetto di ricatto. Il corpo di lui e quello di lei, il disprezzo e l’astrazione.
Donne senza uomini, o meglio con pochi uomini. Tutti diversi tra di loro: dal viscido professore, al padre sensibile, al riottoso pianista fino alla splendida apparizione dell’uomo disordinato di barba e ricci. Infine, se fossero una sensazione, queste donne sarebbero la solitudine: la solitudine è il fil rouge che percorre i racconti. La solitudine, ombra a volte rassegnata a volte ancora dolente che attraversa direi tutti i personaggi del libro. Scriveva Gibran “i caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici”, ma nelle storie di Ornella Sgroi le donne investono la solitudine di tensione agonistica. Risolvono le noie in pazienza e la tristezza in felicità, una felicità allegorica. Sorridere è nella raccolta una costante, tanto nello stile quanto nell’invito che lascia ai lettori: nel mentre scorre la vita c’è solo la scommessa di un sorriso?
In “Le contraddizioni del mentre” vi è la dimensione del racconto come intima tranche de vie. La bellezza della vita sta nell’imprevisto sospendere e sorprendere il tempo mentre si attraversa il tempo.
L’autrice
Ornella Sgroi, catanese, è giornalista culturale e critico cinematografico. Laureata in Giurisprudenza e con un dottorato di ricerca in Diritti dell’antichità, si è sempre occupata di Cultura, Spettacoli, Costume. E soprattutto di Cinema. Collabora con diverse testate tra carta stampata, televisione e web. Tra le principali collaborazioni, la trasmissione Cinematografo di Rai Uno dal 2009, L’Espresso online, il quotidiano La Sicilia. Nel tempo libero scrive soggetti cinematografici e raccolte di racconti.
“Le contraddizioni del mentire” è il suo esordio nella narrativa.
*“Le contraddizioni del mentre” di Ornella Sgroi ( ed. Le Farfalle, 2015)