Pochi, tra gli studiosi di Evola e tra gli stessi “evoliani”, possono vantare la competenza critica e la profondità esegetica di Roberto Melchionda. Questi conobbe personalmente il filosofo quando, nel 1951, venne arrestato e processato per la presunta appartenenza ai Far, di cui Evola, secondo l’accusa, sarebbe stato ispiratore e punto di riferimento ideale. Melchionda fu uno dei “Figli del sole”, dei giovani aderenti al Msi che si richiamavano al magistero evoliano e che non si accontentavano di ridurre la propria spinta politica ideale al solo rimpianto nostalgico. Condivise, pertanto, l’esperienza politica post-repubblichina con Erra, Gianfranceschi, Rauti, ma a differenza di questi ultimi, non fu firma di riferimento dell’area neofascista nell’immediato dopoguerra. Si dedicò ad altra esperienza professionale, anche se collaborò con Barna Occhini negli anni Sessanta, alla rivista fiorentina “Totalità”. Solo più tardi riprese a scrivere per quotidiani e riviste: l’interesse principale dei suoi scritti continuò a ruotare attorno alla filosofia di Evola. La cosa è comprovata dalla pubblicazione della monografia che rappresenta ancor oggi un punto fermo per gli studi evoliani, Il volto di Dioniso. Filosofia e arte in J. Evola.
L’importanza di questo libro va colta nel fatto che Melchionda fu il primo esegeta a scegliere quale accesso privilegiato al mondo ideale di Evola, la via filosofica, facendo oggetto di intenso studio le fasi giovanili della produzione del pensatore romano. Tale differenza d’approccio, rispetto alla gran parte degli studiosi del Barone, è ricordata da Marcello Veneziani nella prefazione di un nuovo volume dello studioso toscano, La folgore di Apollo. Scritti sull’opera di Julius Evola, edito da Cantagalli, a cura di Rodolfo Gordini. Si tratta di una silloge di scritti comparsi nel corso degli anni su quotidiani e riviste, o di prefazioni e postfazioni a libri dello stesso Evola o comunque di critica evoliana, arricchita da due carteggi: quello intercorso tra l’autore ed il filosofo politico Gian Franco Lami della “Sapienza”, qui pubblicato parzialmente, in quanto comprende le sole missive del periodo 2006-2008 (il carteggio completo è leggibile in Studi Evoliani 2009, Arktos-Fondazione Evola, 2010, pp. 106-198) e le lettere di Evola a Melchionda, inerenti la collaborazione dei due a “Totalità”.
Non possiamo che far nostra, nell’immetterci nell’analisi del testo, questa affermazione di Veneziani: “Il suo riferimento a Dioniso sembra davvero sintetizzare più di ogni altro l’opera di Evola e dare un senso compiuto al suo cammino complessivo, teorico ed esistenziale, esoterico e pratico” (p. 12). Verissimo! Il problema è che Veneziani ritiene tale primato inficiare la possibile conciliazione dell’Individuo Assoluto con la Tradizione che, a partire dagli anni Trenta, diventerà il punto di riferimento della prospettiva evoliana. Noi, al contrario condividiamo la tesi, se interpretiamo correttamente, di Melchionda, che anche in questa raccolta, non solo sostiene essere la filosofia “dionisiaca” il file rouge che attraversa e accompagna anche le fasi successive dello sviluppo pratico-speculativo del tradizionalista, ma ritiene coerente, anzi propedeutico alla Tradizione, quanto Evola sostenne in Teoria e in Fenomenologia. Ciò lo si evince da uno dei saggi più significativi della silloge, Attualità ed inattualità dell’idealismo magico in cui l’autore nota come la via del Individuo assoluto sia “un’iniziativa da inventare, una libertà e un potere che viene dal nulla” in cui “gnoseologia, ontologia, etica e “magia” si unificano e pongono lo stesso problema” (p. 65).
L’assillo del filosofo è il nichilismo, pensato nel momento della crisi irreversibile della ragione moderna. La stessa crisi con la quale si stanno attualmente confrontando filosofi italiani di tutto rilievo. In questo senso Melchionda propone di far colloquiare Evola e Colli, il cui merito va individuato nell’aver reso familiare la Sapienza greca (p. 66), o di studiare le relazioni intellettuali con Heidegger e il tema della fine della metafisica (in questo periodo, a causa del ritrovamento dell’appunto del filosofo tedesco inerente Rivolta ad opera di T. Vasek, il suggerimento è davvero di grande attualità!), e ci sollecita a comprendere come il pensiero cardine dell’idealismo magico stia nella “dicotomia attivo-passivo, opzione dell’Io ed opzione dell’Altro, affermazione-negazione, libertà-spontaneità” e aggiungiamo, essere-non essere. Attorno a tale dilemma si spende da tempo, riconosce il nostro autore, Massimo Cacciari. Questi condivide con Schmitt che l’ “attivo determinare” è tratto essenziale del Politico che “presuppone la presenza indicibile del Mistico (Wittgenstein)”(p. 67). La cosa rilevante è che questa prospettiva sembrerebbe richiedere l’iniziativa del soggetto nel senso in cui essa è pensata dalla filosofia di Evola. Da ciò l’attualità delle problematiche che animano il pensiero del “contingentismo trascendentale”, ma anche l’inattualità delle sue soluzioni rispetto alla solvibilità della crisi.
Se l’Evola filosofo è pensatore che sintetizza originalmente le esigenze colte da Nietzsche con quelle gentiliane, è solo partendo da lui che è possibile confrontarsi con le metamorfosi che la crisi ha assunto ai nostri giorni. Lo mostra un altro saggio contenuto nel volume, Evola e il pensiero debole. Dalla lettura si evince come Evola avesse compreso che la volontà di potenza è, al medesimo riguardo, matrice consustanziale della ricerca filosofica e “valore…che apre al postnichilismo” (p. 58). Se la libertà va coniugata alla potenza, nella prospettiva di Evola tale asserzione è lasciata alla verifica empirica, pratica, di chi si pone su tale percorso. Pertanto, il soggetto metafisico dichiarato morto dal pensiero debole, non ha nulla a che fare con il soggetto di Evola. Il pensiero debole può argomentare la sua versione “dimidiata” della verità a causa della paralisi affermativa del pensiero contemporaneo, ridotto a mero intellettualismo “Ma il pensiero di Evola non afferma nulla che sia soltanto discorso”, esso è per dirla con Gasparotti, pensiero sempre all’opera. L’azione dionisiaca su cui si fonda tende a semplificarsi, a liberarsi della dimensione cosale, il suo movimento in realtà è uno stare. Non c’è opposizione nell’arché tra le polarità di Apollo e Dioniso.
Le pagine di Melchionda, così come quelle di Lami contenute nel volume, sono testimonianza di un’esegesi acuta della centralità di Evola nel dibattito filosofico contemporaneo. Esse non hanno nulla da condividere con quelle prodotte da affrettati cursori dell’opera evoliana, o con quelle cariche di ossessioni ideologiche vecchie e nuove, sterili sotto il profilo del contributo esegetico. Evola esce dall’analisi del volume come autore unico ed originale del panorama europeo novecentesco, latore di un’azione politica possibile mirata a costruire un Nuovo Inizio.
Roberto Melchionda. La folgore di Apollo. Scritti sull’opera di Julius Evola, Cantagalli. (per ordini: 0577/42102, euro 20,00).