Debutta a Genova, in Prima nazionale l’8 marzo, “Buio a mezzogiorno, ” la nuova produzione del Teatro della Tosse in collaborazione con Teatro Cargo. Lo spettacolo resterà in scena fino al 20 marzo.
Questa originale proposta teatrale è un’occasione importante per ritrovare un classico della cultura anticonformista. Lo spettacolo è infatti tratto dal famoso romanzo “Buio a mezzogiorno” dello scrittore ungherese Arthur Koestler, uscito nel 1940, a Londra e New York, proprio all’indomani della dissociazione di Koestler dal partito comunista in cui fino al 1938 aveva creduto e militato con fervore, e racconta la detenzione dei nemici o presunti tali del partito, guidato da Numero 1, un chiaro riferimento al partito comunista nella Russia stalinista degli Anni Trenta del ‘900.
Protagonista della vicenda è Rubasciov, importante membro del partito, che nel corso degli anni ha portato a termine diversi incarichi fuori dai confini nazionali ed ora è accusato ingiustamente di essere oppositore della politica del regime.
“Buio a mezzogiorno” inizia con l’incarcerazione del protagonista in una prigione russa, una piccola cella spartana in cui le guardie lo spiano costantemente per studiare ogni singolo gesto, accrescendo il suo senso di disagio e insicurezza. La sensazione di paura aumenta durante gli interrogatori portati avanti da Gletkin, simbolo del totalitarismo di regime, che depone una cieca e acritica fiducia nel sistema. Un confronto impietoso che fa emergere tutta la frustrazione di un uomo dinnanzi al suo fallimento personale e politico, evidenziato dai ricordi di Rubasciov che in cella ha modo di ricordare il passato, gli episodi cruciali della sua esistenza e militanza all’interno del partito. Tra paure e angosce dovute alla pressione dei suoi carcerieri e a interrogatori durissimi, Rubasciov viene costretto a confessare delitti mai commessi, fino a quando distrutto psicologicamente dal suo antagonista Gletkin, deciderà di farla finita.
Il romanzo è ispirato al processo e alla condanna a morte di Nikolaj Ivanovic Bukharin e di altri alti dirigenti comunisti, vittime, nella seconda metà degli Anni Trenta del ‘900, della politica del
“Grande terrore” voluta da Stalin.
Laura Sicignano mette in scena uno spettacolo che riflette sulle tragedie dei totalitarismi e su come
una generazione fosse convinta – dichiara la regista – “di cancellare il privato, l’Io, a favore dell’Idea, del Noi. Fino alle estreme conseguenze. Mentre Rubasciov scopre il valore della coscienza e dell’identità individuale, Gletkin si trasforma in una figura sempre più amorale di staliniano convinto, soldato disposto a eseguire qualsiasi ordine superiore”.
A muovere entrambi, ieri Rubasciov, oggi Gletkin, è l’ideologia ispirata da un assoluto, il “senso della Storia”. “La Storia non conosce né scrupoli né esitazioni”, aveva detto Rubasciov a una delle sue vittime. “Scorre, inerte e infallibile, verso la sua meta. Ad ogni curva del suo corso lascia il fango che porta con sé i cadaveri degli affogati. La Storia sa dove va. Non commette errori. Colui che non ha una fede assoluta nella Storia non è nelle file del partito”.
Decine di milioni di persone innocenti hanno pagato con la loro vita questa “fede assoluta” nel comunismo e nella sua idea redentrice dell’umanità. Ricordarlo non è mai uno sterile esercizio di memoria.