La forza del passato che contamina le avanguardie. Un amore che si trasforma e comincia la sua narrazione. Così per confrontarsi con gli artisti che, mentre negano l’arte del passato, però non smettono di guardare all’antico. Le avanguardie del novecento restano comunque collegate alla fascinazione dell’antico e lo racconta la Mostra “La seduzione dell’antico. Da Picasso a Duchamp da de Chirico a Pistoletto”, al Mar di Ravenna, attiva sino al 31 marzo. È un confronto questo per comprendere che chi nega il passato non può prescindere dai suoi archetipi, dai suoi simboli, dai suoi maestri.
Il novecento non ci lascia, perché è un secolo doppio, o meglio è il classicismo del ritorno all’ordine ed è la trasfigurazione moderna e caotica; con questa dualità è possibile interpretare un periodo storico-artistico che vede le lacerazioni futuriste approdare all’ordine della forma primigenia. Come Gino Severini. I quadri emblematici di questo percorso del Mar sono ‘Ballerina blu’ (1912) e ‘Maternità’ (1916) di Severini, il quale, in pochi anni, tocca due polarità, dialogando con la scomposizione avanguardistica dell’immagine e subito dopo con la figurazione tradizionale.
In arte il futuro e il passato non finiscono. Il de Chirico metafisico e innovativo non si spiega senza l’amore per il mito greco arcaico. Le sue piazze italiane mettono insieme ciminiere e viste su città rinascimentali; ed è per tale motivo che l’esposizione propone una meravigliosa ‘Piazza d’Italia’(1916). Il Carrà, che ha esaurito l’enfasi modernista, guarda al duecento giottesco e le proprie opere par che dicano “Quel non so che di antico e moderno…”, per usare le sue parole e per rammentare una straordinaria storia artistica che ben si concentra nella tele ‘Madre e figlio’ (1934).
Morandi, Casorati, poi la Scuola romana, Guttuso, Fiume, Palladino, solo una parte di nomi presenti al Mar, per sottolineare che l’antico ha comunicato se stesso anche a questi artisti innovatori. E cosa sarebbe l’ultimo Sironi senza le sue composizioni evocative di un passato egizio o mesopotamico? Cosa sarebbe Picasso senza la sua stagione neoclassica? Il novecento modernista e rinnovatore è più che mai legato alle lontananze della storia.
Il nuovo infondo è una rilettura del passato. Pertanto, “Recuperi, ritorni, malinconie, per la grande arte che fu, sono il retaggio anche della contemporaneità. In mostra c’è Paladino che guarda a Giotto (Testimone, 1999); Vettor Pisani che con la scenografica Barca dei sogni cita Böcklin; Parmiggiani, ex pauperista che oggi riflette sul tema dell’assenza e del passare del tempo (Icona, 1985), solo per citare qualche nostalgico.” Così l’artefice della Mostra, Claudio Spadoni e alla notevole esposizione egli conferisce un sintagma intrigante, che è un ossimoro, vale a dire: il fascino antico del moderno. Perciò, quando ragioniamo di arte, non ci lascia il verso di Jorge Luis Borges, “Tutto accade per la prima volta ma in modo eterno” e adesso per parafrasare: Il tutto avviene, per il moderno, ma in modo antico.