Pubblichiamo un estratto de “Il dio della guerra. Il barone Roman Feodorovic von Ungern-Sternberg” di Jean Mabire
Gli uomini degli squadroni e dei servizi sentirono un vento di tempesta soffiare sull’accampamento e si schierarono rapidamente in riva al fiume. Gli ordini vennero impartiti a tamburo battente. Un trombettiere suonò a perdifiato. Apparve il Barone. Stranamente, sembrava meno imbronciato del solito.
- Colonnello Sipailov! A voi!
La messinscena sembrava fosse stata curata nei minimi particolari. I tre ufficiali, benché legati saldamente, potevano muovere ancora braccia e gambe. Una lunga corda venne annodata alle loro cinture. Tre dei soliti boia della squadra dello Strangolatore ne trattenevano i capi.
Le acque giallastre del Kerulen continuavano a scorrere. A volte compariva qualche tronco d’albero, subito trascinato via dai gorghi. In quella fine di ottobre l’acqua era già gelida.
- Tuffatevi! Comandò Ungern.
I tre ufficiali sapevano che non si poteva mai trasgredire un ordine del Barone. Avevano perso. Si gettarono in acqua. Il freddo e la paura li resero subito sobri. Il capo della divisione asiatica di cavalleria avanzò lentamente verso la riva per osservare i tre uomini che si dibattevano nel fiume.
- Nuotate!
Nuotarono con grandi movimenti sconnessi. Stavano per soffocare e cercarono di non farsi trascinare via dalla corrente. Ungern all’improvviso sembrò diventare sempre più allegro.
- Avete ancora sete?
Non aspettò nemmeno la risposta e ordinò:
- Immergetevi!
Le tre teste scomparvero sott’acqua. Ungern fece un gesto a Sipailov che estrasse la pistola dalla fondina. Ogni volta che una testa riaffiorava in superficie partiva uno sparo e un proiettile sollevava uno spruzzo di schiuma a una decina di centimetri dalla testa del nuotatore che spariva immediatamente sott’acqua.
Alla fine rimasero soltanto le acque turbolente del Kerulen. Il Barone guardò l’orologio, aspettò per un buon minuto e fece segno ai tre boia che tirarono lentamente le corde. I tre ufficiali furono ricondotti a riva. Avevano perso conoscenza e si dovette rianimarli a calci.
- Attenti! Comandò Ungern.
Vennero sciolti dai legami. Tremavano e respiravano a fatica. Erano spossati e intirizziti, ma speravano che il supplizio fosse finito.
- Allora, vi è passata la sbronza? Chiese il Barone.
I tre ufficiali risposero all’unisono:
- Sì, Eccellenza.
- Benissimo. Adesso siete in forma perfetta per attraversare a nuoto il fiume. Dopo l’alcool cinese l’acqua vi farà un gran bene. Avete ancora bisogno di lavarvi lo stomaco. Su, presto! In acqua, branco di porci!
L’essaul e i due tenenti scesero di nuovo nel fiume. Raggiunsero infine la riva opposta. Ungern diede gli ordini a Ruchanski:
- L’ufficiale di turno li chiamerà ogni dieci minuti. Li lasceremo sull’altra riva fino a domani.
Per dodici ore l’appello sarebbe risuonato monotono da una sponda all’altra del fiume.
- Essaul Paraguin?
- Presente!
L’acqua scorreva nella notte con i suoi gorghi nerastri.
- Tenente Rossianov?
- Presente.
Il freddo diventava sempre più pungente e stava gelando.
- Tenente Piniguin?
- Presente!
I lupi si aggiravano e ululavano attorno ai tre ufficiali, costretti a trascorrere la notte in piedi. Accanto a loro era stata posta una lanterna e, sull’altra sponda, i cosacchi tennero a distanza le belve per tutta la notte, sparando e prendendole a bersaglio.
Il Barone sembrava entusiasta di quella punizione.
- Se ne ricorderanno a lungo… Suzuki, mi chiederete perché non li abbia fatti fucilare. Il fatto è che sono dei bravissimi ufficiali, tra i migliori della divisione. Ci tengo. E vi dirò persino che mi sono cari.
Nevicava dall’alba e l’accampamento si era svegliato ammantato di una bianca coltre. Il vento soffiava fortissimo dalla sera precedente e qualche fiocco di neve turbinava sulla piazza d’armi. Il Barone ordinò una battaglia a colpi di palle di neve.
I tre ufficiali puniti avevano ripreso il proprio posto. Sembravano aver bisogno di riscaldarsi di continuo e l’essaul Paraguin trascinò all’assalto la sua sotnia. I suoi cosacchi riuscirono ad accerchiare uno squadrone di buriati vicino all’isba-ospedale. Scoppio di urla. Rimasti a corto di neve, i soldati raccolsero delle pietre. Ungern era affascinato. Fece curare i feriti e distribuì sia ai vincitori che ai vinti un quarto di tè bollente.
All’improvviso, il capo della divisione asiatica di cavalleria si tolse la pelliccia mongola, si spogliò dell’uniforme e restò così, nudo come un verme.
- Chi fa il bagno con me?
Il Barone organizzò una corsa verso le acque gelide del fiume. Come decano degli ufficiali della divisione, il maggiore Markov fece da arbitro. Ungern aveva promesso cento sigarette al vincitore. Lui non fumava e sembrava gli importasse poco di vincere. Gareggiò solo per il gusto di farlo.
*Il dio della guerra. Il barone Roman Feodorovic von Ungern-Sternberg di Jean Mabire (pp.228, euro 15, Edizioni di Ar, collana Il Cavallo alato, per ordini: info@libreriaar.com)