E’ nelle librerie l’ultimo volume della trilogia “economica” del filosofo francese Alain de Benoist. Si Tratta de Il trattato transatlantico. L’accordo commerciale USA-UE che condizionerà le nostre vite, pubblicato da Arianna Editrice, che fa seguito a,Sull’orlo del baratro e a La fine della sovranità. Il libro può essere letto a prescindere dai due precedenti perché ne rappresenta la sintesi e la pars construens. Il tema affrontato è di rilievo e di strettissima attualità. De Benoist non indugia nell’analisi dei nessi di causa-effetto che legano scelte politiche ed effetti socio-economici per spiegare lo stato attuale delle cose, ma legge le dinamiche della crisi come tipiche delle procedure della forma capitale, “epifenomeno nichilista della modernità”, come ricorda in prefazione Eduardo Zarelli (p. 6).
L’incipit del volume presenta la ricostruzione storica delle tappe attraverso le quali si è giunti alla definizione del “grande mercato transatlantico”, una gigantesca zona di libero scambio con ottocento milioni di consumatori, con il 50% del PIL mondiale e il 40% degli scambi commerciali, che sta sorgendo dall’unione economica e commerciale di Europa e Stati Uniti. Tutto ebbe inizio il 22 novembre del 1990, quando USA ed Europa adottarono la “Dichiarazione transatlantica”, impegnandosi a promuovere l’economia di mercato. Nel dicembre del 1995 si diede vita alla NAT “Nuova Agenda Transatlantica”, impegno politico dei contraenti, cui seguì, nello stesso anno, la creazione della TABD, coalizione di grandi imprese pubbliche e multinazionali. Si giunse nel 1998 a firmare il primo “Partenariato economico transatlantico”finché, nel 2008, il Parlamento europeo approvò una risoluzione con la quale veniva soppressa qualsiasi barriera che fosse d’ostacolo al commercio tra le parti in causa. Nel 2013 il Consiglio europeo si è pronunciato per un “accordo commerciale globale USA-EU”, mentre nel 2014 si sono tenute le ultime negoziazioni per definire gli aspetti tecnici dell’accordo che peserà sulle nostre vite. I fautori del trattato, nel corso degli anni, hanno sostenuto che l’eliminazione delle barriere commerciali transatlantiche porterebbe dagli 86 ai 119 miliardi di euro all’anno nell’economia del Vecchio Continente e dai 65 ai 90 miliardi in quella USA.
Anche l’osservatore più sprovveduto si rende conto che dietro l’accordo, di cui nessuno si è peritato di informare i cittadini, manca chiarezza di intenti: stiamo subendo negoziazioni di “diplomazia economica segreta”, nelle quali il Parlamento europeo non ha avuto alcun peso, mentre le multinazionali e le organizzazioni che le rappresentano, la TBC o la TPN, hanno svolto un ruolo di primo piano. L’abolizione dei diritti di dogana, inoltre, sarà del tutto pregiudizievole per noi europei, in particolare nel settore tessile e in quello agroalimentare. I tassi medi doganali europei sono del 5,2 %, mentre in America solo del 3,5%. Quindi, con la loro soppressione, gli USA ricaveranno vantaggi superiori del 40% a quelli della UE. L’Europa sarà costretta a convergere sulle loro regole. Nel settore agricolo saremo invasi da prodotti a basso costo, dalla carne bovina agli ormoni ai pollami alla clorochina, per finire agli OGM. Sulle nostre tavole faranno la loro comparsa prodotti con pesticidi oggi da noi proibiti. I prodotti DOC saranno aboliti. Sotto il profilo ambientale saranno smantellate leggi di tutela, ritenute dagli USA troppo restrittive, mentre l’industria farmaceutica potrebbe veder bloccata la produzione di medicinali generici. I giganti dell’audio-visivo e del digitale d’oltreoceano dilagheranno, azzerando l’industria europea. Sul piano sociale assisteremo alla definitiva dissoluzione delle residue tutele. In uno degli ultimi rapporti sul trattato (17 giugno 2013), a proposito dei regolamenti sul lavoro, si dice che dovranno essere rispettati “a condizione che così facendo non vengano compromessi i vantaggi derivanti dall’accordo”, il che vuol dire addio Stato sociale.
Uno dei punti più controversi della negoziazione riguarda l’arbitraggio di eventuali contrasti tra Stati e investitori privati: a tal proposito si dice che le multinazionali potranno trascinare di fronte ad un tribunale ad hoc quegli Stati o collettività territoriali che “facessero evolvere la loro legislazione in un senso giudicato nocivo ai loro interessi” (p. 20). Per queste ragioni, ricorda de Benoist, il Partenariato transatlantico è lo strumento con il quale gli USA tornano a riaffermare la loro leadership in un mondo multipolare, attraendo l’Europa nel loro ambito di interessi, al fine di schiacciare paesi terzi in grado di opporre resistenza a tale progetto egemonico. Essi, con il Trattato, vogliono imporre una governance unica ai due continenti.
Per de Benoist il Trattato non è che il momento conclusivo dell’occidentalizzazione del mondo, che si manifesta su tre piani diversi: 1) Sviluppo tecnologico illimitato autoreferenziale accompagnato da assoluta mancanza di fini da perseguire, se non quello della logica del produrre-consumare “sempre più”; 2) Fine della politica e affermazione del Nuovo Regime dellagovernance tecnico-finanziaria, demobilitazione delle masse e annullamento del valore di ogni forma di rappresentanza e di legittimità popolare; 3) Affermazione del “medesimo” che abolisce ogni differenza etnica, ideale, alimentare in nome del modello unilaterale e indifferenziato di umanità edonistica. Per contrastare questa pericolosa situazione è necessario che l’Europa recuperi, come suggeriva Jünger, la dimensione Anteica, la propria “radice terrena”, lasciandosi alle spalle le politiche di austerità amplificate dall’adozione nel 2012 del Meccanismo europeo di stabilità, che ha assoggettato gli Stati al potere delle banche. Allo scopo, non basta attaccare le regole economiche vigenti, rimpiangendo forme di sovranità nazionaledestituite di credibilità storica ma, suggerisce de Benoist, bisogna pensare una nuova sovranità europea che sappia contrapporre alla liquidità contemporanea la forma politica nel suo principio metafisico: l’Impero “un grande spazio in cui i singoli individui…si possono riconoscere reciprocamente come persone con determinati diritti e doveri” (p. 9), in nome del comune passato e della condivisa apertura sul futuro. Una comunità di destino.
Qual è il soggetto politico che può introdurre il granello di sabbia nell’Impianto della tecno-macchina e capace di rifiuto radicale dei valori dominanti? De Benoist, nel bellissimo capitolo conclusivo, risponde il ribelle, l’incarnazione del non-conformismo “Il ribelle è adatto a questo mondo perché…propaga le sue idee in modo virale. In un mondo che tende all’omogeneo, il ribelle…è la singolarità stessa…un soggetto che ha saputo restare reale in un mondo di oggetti virtuali”. Che i ribelli lascino dunque i boschi dell’ autoesclusione e si mettano in gioco, ribellarsi è giusto!
Alain de Benoist. “Ribellarsi è giusto”. Arianna Editrice 051/8554602. 9,80€
*da Il Borghese