Nel castagneto è la seconda raccolta di poesie pubblicata da Guido Cavalli a distanza di dieci danni dalla prima. Diciamo subito che siamo di fronte a un’opera compatta, di indubbia maturità (stilistica e tematica) e di grande impatto emotivo. Se si vuole, Nel castagneto è una sorta di poema suddiviso in cinque sezioni: dalla casa di pietra, un altro inizio, la scuola del presentire, intorno al vincolo, il lasciapassare – quasi a scandire, come in una sinfonia, cinque tempi della propria esistenza, che hanno però un solo filo conduttore: il bisogno di ricostruire un’identità, la necessità di trovare un’appartenenza. L’esperienza traumatica della morte volontaria del padre è probabilmente il punto di partenza di questa ricerca di sé, poiché introduce nella vita dell’autore parmense uno iato, una ferita difficilmente rimarginabile:
“Dalla casa di pietra abbandonata / non viene più nessuno a raccogliere / le mele e sotto il castagno spezzato / il padre e il figlio non siedono più. / Solo un rumore di pioggia echeggia / nell’aria azzurra.” Il gesto del padre, per la sua incomprensibilità, soprattutto agli occhi di un fanciullo, inevitabilmente suscita un muto e severo rimprovero. Il senso di abbandono, la solitudine si fanno schiaccianti: nei paesi vuoti, come scrive Cavalli nella prima incisiva poesia, “compaiono all’orlo dei boschi” piccoli branchi di lupi che “all’aperto dei sagrati si coricano / e immobili nell’ora della sera / somigliano a grigie statue romaniche.” E sorgono domande: “Intanto noi dove siamo? Perché / abbiamo preso la sembianza d’ombre / impigliate ai vetri delle finestre, / d’orme nei letti di polvere e cenere?” Nella poesia A colloquio con il padre è il padre stesso a dire al figlio: “ Siediti qui accanto a me. Parliamo / un poco. O sono forse per te / un ricordo sgradito? / Oggi che anche tu sei padre, dimmi, / vedi questa debolezza nelle cose?”
L’assenza del padre è il controcanto a quella “disperata ansia d’essere felici e mortali” che il poeta sente e persegue. Senza memoria dei luoghi dell’infanzia, dei paesaggi, degli affetti familiari e, dunque, senza passato non c’è identità, non c’è quella dimensione di fatalità che per un uomo è la propria terra ferma nel pungente fluire della vita. La vita è caos, confusione, incertezza. Come diceva magnificamente il filosofo Ortega y Gasset, siamo naufraghi nelle circostanze.
Ed allora che bisogna fare? La risposta vitale, autentica, è interpretare la propria vita, cercare una via d’uscita all’angoscia, al dubbio che ci assale e ci tormenta. E’ questa la cultura, nelle sue varie forme: poesia, filosofia, scienza, religione. Il cammino intrapreso da Cavalli è per l’appunto il fare poesia (“la scuola del presentire”), ritrovare l’infanzia e i suoi ricordi, osservare e interpretare il gran libro della natura, di cui si nutre la sua sensibilità. Le parole del resto “crescono e cercano l’aperto, / un luogo luminoso”, come le erbe che “spuntano dal terreno e infittendo / ricoprono il marmo dei padri”.
Comincia allora un viaggio a ritroso, un ritorno che si prefigura come un altro inizio: “E quando ridiventerò bambino”, “quando il melo più vecchio e tarlato / inchinerà i suoi frutti alla mia mano”, “e mi sentirò libero di stare / qui fermo ad aspettare, bianca pagina, / piovere intorno sonore parole, / allora torneremo a conversare / un poco, tu ed io, padre e figlio / seduti sulla pietra in fondo al parco?”
Il primo fondamentale luogo che il poeta ricorda e celebra nei suoi versi è un bosco, il castagneto per l’appunto. “E’ l’odore dei boschi di castagno. / E’ la cosa più antica che c’è in me.” Così comincia Nel castagneto, che è la poesia che ha dato il nome alla raccolta. Nel castagneto c’è in primo luogo l’osservazione minuziosa della natura: “(…) vedo / la terra scura, irrorata d’acqua, / ricca di sali e di spore, che nutre / questo legno brunito, questi tronchi / – spalle giganti, avvolte di muschio – / verso nord, e le chiome che si aprono / verso l’alto e più in basso, ai loro piedi / felci e ginepri, rovi, pruni e mirtilli, / e la tana della volpe”.
Sennonché l’osservazione della natura non è mai fine a sé stessa. Il castagneto è insieme un luogo reale e simbolico, è la dimora del colloquio col padre e il custode dei ricordi familiari, come quello dei carbonai che “nella stagione più secca salivano / dai paesi dabbasso” e forse conoscevano, malgrado la povertà, il segreto “d’una via più conciliante”; o, ancora, come quello dell’”’eco dell’abisso, custodita / nell’incavo della conchiglia fossile / che avevamo raccolta attraversando / il letto del mar Rosso – ti ricordi?” E’ qui, nel bosco, che il poeta apprende “il suo vocabolario vivo”, presta ascolto ai segni e cerca di decifrarli: “Lingua madre d’un paese ormai remoto, / cancellato dagli atlanti della storia, / verde casa dell’infanzia, natura.” E’ qui che il poeta, come l’esiliato, sente che “sono vuote / oggi le rime battute dai rami / che chinano e sollevano se passa / il vento.” E’ qui che, malgrado tutto, egli si ritrova, dopo essersi perso, per riprendere il cammino della vita, riannodando il filo d’una storia familiare spezzata, ora attraverso l’amore di adolescenti: “Eravamo amanti bambini / rinchiusi in quella silenziosa camera / di legno come in un guscio, un incanto. / Intorno l’inverno batteva ai vetri / e una neve leggera vorticava”; ora attraverso la costituzione di una nuova famiglia, “che assapora / il tepore del sogno in fondo al sonno”. La natura ha, dunque, una funzione risanatrice, propizia l’accettazione del proprio destino, della propria storia, rimanda ad una dimensione altra, come pure scrive Cavalli ne Il lasciapassare: “E adesso lascia che ancora mi perda / in cerca di rosse bacche selvatiche. / (…) Un fragile silenzio mi richiama / là dove stringe l’intrico dei rami. / (…) E sento combaciare sotto i passi / il territorio celeste col vero.”
La scoperta che in definitiva il poeta suggerisce è quella già messa in luce dal filosofo: “il senso della vita consiste nell’accettare ciascuno la propria inesorabile circostanza e, nell’accettarla, convertirla nella propria vocazione.” (Ortega y Gasset). Una filosofia ecologista, se non andiamo errati, fa da sottofondo a quest’opera di poesia che invita alla riflessione. Infatti, la vicenda personale del poeta si fa corale, diviene paradigmatica di un’umanità sofferente e disorientata che ha voltato le spalle alla natura ed ha dimenticato la gioia di sentirsi a casa nel mondo: “La cacciata avvenne nottetempo. /E non c’è rimedio a questo esilio.”
Un’ultima annotazione riguarda lo stile dell’autore che dimostra una piena padronanza della tecnica poetica. Come scrive nella sua pregevole postfazione il critico Giovanni Ronchini “l’endecasillabo di Cavalli, strutturato in versi sciolti, il metro più frequentemente utilizzato in questa raccolta, è sinuoso, raramente franto da poche opportune cesure (…) , variamente alternato a versi più brevi, soprattutto il novenario o il settenario”. L’esito, come può avvertire il lettore, è l’andamento musicale delle liriche qui raccolte.
Nel castagneto (Diabasis edizioni, Parma, 2015, pp. 96, € 12)