“Arriveremo mai?” Questa è la reazione interrogativa che potrebbe affliggere il turista della Domenica, incautamente diretto a Tresigallo, giusto a metà strada tra Ferrara e Comacchio. Il territorio depresso che comprende l’oltre-Po mantovano, il ferrarese, il rodigino e la parte interna della provincia di Ravenna, conserva quella sensazione sottilmente inquietante di attesa, quell’estetica della sospensione dovuta all’assai prossimo incrocio di acque – dolci e salate – che spesso si traduce in malinconia man mano che il mare si avvicina. Siamo infatti in prossimità del delta del fiume Po, in un paesaggio agricolo piatto e basso, umido ed addomesticato, radicalmente modificato prima dalle opere di bonifica e poi dall’orripilante urbanizzazione anni ’70. Una promiscuità di stili, tutti accomunati dal precoce invecchiamento, che sovente si traduce in un gioco di abbandoni: insegne al neon spente, alberghi abbandonati, tavole calde per camionisti, ex dancing, fabbriche in disuso. Nonostante ciò permane un senso di spaesamento affascinante, il medesimo descritto meravigliosamente da alcuni film di culto: La casa dalla finestre che ridono di Pupi Avati e L’estate di Davide di Carlo Mazzacurati, tra gli altri, riescono a cogliere appieno lo spirito di questa terra madida e per lo più ancora rurale.
Nel bel mezzo del nulla – perché questa è la sensazione, la mancanza di punti di riferimento – costeggiando canali lungo infinite strade alberate, si giunge in qualche modo a Tresigallo, meno di 5000 anime, probabilmente “la città di nuova fondazione” meno conosciuta d’Italia, certamente ancora ben lontana dai pur tardivi riconoscimenti ottenuti da Pontinia, Sabaudia o Latina (Littoria). Si tratta del borgo che nel 1884 diede i natali ad Edmondo Rossoni, sindacalista fascista e ministro per l’agricoltura, che qui volle lasciare un segno architettonico importante, chiaramente basato sulle direttive razionaliste dell’epoca. Il paese, completamente rifondato negli anni ‘30, divenne quindi un laboratorio a cielo aperto, un cantiere fecondo dove sperimentare soluzioni in grado di coniugare funzionalità moderna, rappresentanza politica di regime (la piazza a forma di D, in omaggio al duce) e suggestioni corporative nell’organicità di un impianto urbano assolutamente innovativo. La figura di Rossoni, fascista anomalo certamente più vicino alle istanze dei lavoratori che a quelle dell’alta borghesia, traspare proprio nella limitazione degli elementi autocelebrativi – questi maggiormente accostabili al codice di Marcello Piacentini – in favore di un assetto integralmente pensato con mentalità europea, non dissimile dalle utopie Bauhaus di Walter Gropius, seppur filtrate dall’enigmatico segno metafisico. Ecco quindi la simbiosi perfetta di cubiche rigidità con addolcimenti ricurvi, la forza della linea retta ingentilita da archi e vuoti perfettamente calibrati.
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Tresigallo, piccolo paese nel quale la speculazione edilizia non ha risparmiato l’armonico equilibrio originario, conserva comunque il fascino della cittadella del lavoro voluta da Rossoni, seppure ora circondata da fabbriche per lo più chiuse; erano grandi impianti per la lavorazione della canapa, della cellulosa o della barbabietola, opifici simbolo della battaglia autarchica che sancì formalmente l’etica e l’estetica – da Der Arbeiter, rammentando Ernst Junger – caratteristiche del periodo. Certo è che il bar dei cinesi, sotto gli archi post-dechirichiani di piazza Italia, reclamerebbe un impellente esproprio patriottico; impellente almeno quanto i restauri necessari per il recupero del bar Roma, gioiello architettonico in totale abbandono ed ancora fregiato dalla scritta nei tipici caratteri squadrati futuristi. Occorre dire, a ragion del vero, che dal 2010, forse anche grazie al revisionismo “rurale” contenuto in Canale Mussolini di Antonio Pennacchi (dove assai si scrive a proposito di Rossoni), l’interesse verso il borgo novecentista cresce, fino al riconoscimento di città d’arte (Tresigallo, Città del ‘900), l’inserimento nel circuito dei Borghi Autentici d’Italia e l’attenzione palesata dal CE.S.A.R. di Roma (centro studi sull’architettura razionalista).
Cresce di pari passo anche la consapevolezza, da parte degli abitanti e degli amministratori locali, riguardo all’unicità del patrimonio estetico, nascono associazioni di promozione culturale, si moltiplicano le visite di studiosi, architetti, fotografi, turisti e curiosi (ci s’immagina, come lo scrivente, alquanto spaesati una volta giunti in paese: l’atmosfera è aliena rispetto a qualsiasi altra cosa nel circondario). Soprattutto, è emersa, da alcuni anni, la chiara volontà di procedere ad una filologica opera di restauro, tesa a recuperare quanto possibile dell’originaria impostazione urbanistica. Ciò trova riscontro nelle pertinenti soluzioni che hanno riconsegnato alla città i vecchi bagni, la Domus Tua, l’ex Casa della GIL e l’ex Casa del Fascio, oltre ad una piazza – della Rivoluzione, ora della Repubblica – che difficilmente ci si scorda: come se qui il rinascimento fosse stato sintetizzato nella sua essenza di linee pure, come se la magia dell’equilibrio classico avesse trovato, nella piccola e moderna Tresigallo, inedita traduzione.
@barbadilloit