Li ha bacchettati. E loro applaudivano. Li ha giudicati. E loro applaudivano. Li ha minacciati. E loro applaudivano. Tutti fan di Giorgio Napolitano? No. Tutti in riga in Aula da Re Giorgio, che da oggi è il vero attore protagonista di questo inizio di Terza Repubblica (dopo essere stato il regista del finale rocambolesco e senza gloria della Seconda). Un discorso duro è stato quello del presidente della Repubblica, al secondo mandato, richiamato in causa per manifesta incapacità dei partiti – Pd su tutti – di trovare una soluzione allo stallo politico causato dal dopo voto. E allora, dopo il teatrino di questi giorni per il rinnovo del Colle, il terrore per l’instabilità e l’erosione del Pd hanno determinato l’ultimo tentativo da parte di Pier Luigi Bersani: chiedere il bis al vecchio migliorista.
Re Giorgio, alla fine, è tornato. E, nonostante la commozione che più volte ha fatto capolino nel suo discorso, fa paura. Non fosse altro in quanto il suo è stato un discorso da presidente del Consiglio, più che da capo dello Stato. Anche perché stavolta ha in mano la pienezza dei suoi poteri, tra cui quello di sciogliere le Camere. Un discorso, insomma, che ha tracciato obiettivi e condizioni che lui stesso pone ai partiti: larghe intese, senza se e senza ma. Un discorso “presidenzialista” che, ormai è chiaro, riforma (per non dire sovverte) il dettato costituzionale. E in effetti è questo, e sarà la storia a stabilirlo, il lascito politico di Napolitano.
Un presidenzialismo, quello di Napolitano, che nasce però in virtù di uno scenario che non ha giovato al sistema Paese. Non si possono dimenticare, a proposito, le responsabilità politiche gravi davanti a una crisi economica rispetto alla quale Napolitano ha optato per il sostanziale commissariamento del Paese. I risultati politici della sospensione tecnica sono sotto gli occhi di tutti: avanzamento del grillismo, balcanizzazione delle correnti nel Pd, mancato ricambio nel centrodestra, implosione dello stesso centro che avrebbe dovuto trasformare il terzismo in ago della bilancia di qualsiasi governo.
L’ultimo anno di Napolitano, con tutto il rispetto e senza dietrologia, è stato un disastro anche in termini di sovranità: dato che l’Italia si è dimostrato potenziale paese-laboratorio tanto delle meccaniche sovranazionali quanto delle campagne elettorali dei rispettivi partner (vedesi Sarkozy prima e Merkel adesso).Rispetto a tutto questo, adesso sta ancora a lui – sovrano in uno stato di eccezione – dirigere questa fase. E la sua idea, a quanto dicono i bene informati, non si discosta tanto dalle varie agende che hanno fallito (e non solo per colpa dei tanto vituperati partiti). Ma una riedizione “politica” del disastro tecnico, per addizione, potrebbe suonare pressappoco così: disastro tecnico della politica. E questa volta sul banco degli imputati finirebbe proprio lui : il “sindaco d’Italia” di fatto.