Nel presentare il carteggio completo intercorso dal 2/2/1996 al 30/05/1998 e dal 18/04/2006 al 1/3/2008 tra Gian Franco Lami, filosofo politico della “Sapienza” di Roma, scomparso improvvisamente cinque anni fa, e Roberto Melchionda, raffinato interprete della filosofia evoliana, apparso nel 2010 sull’annuario della Fondazione Evola, Studi Evoliani 2009 (Edizioni Arktos, pp. 106-198), il curatore Alessio de Giglio così esordiva: “Sono lettere ricche di contenuto e scritte dai due Autori con grande garbo, stigma di quella competenza e signorilità che li rende immediatamente riconoscibili al lettore” (p. 106). Si tratta di lettere nelle quali i due studiosi facevano il punto sullo stato della critica evoliana in Italia, soffermandosi sugli snodi più rilevanti delle reciproche “letture” della produzione del pensatore tradizionalista, cui entrambi erano pervenuti dopo essersi spesi per un notevole arco di tempo sulle pagine di Evola.
Quale sorpresa, quindi, ora che una parte del carteggio tra i due (2006-2008) è stata inserita come Appendice ad una interessante silloge di scritti di Melchionda di recente pubblicazione (La folgore di Apollo. Scritti sull’opera di J. Evola, a cura di R. Gordini, Cantagalli), leggere una recensione di questo libro firmata da Piero Vassallo (La segreta causa dell’insignificanza culturale a Destra, piervassallloblogspot.com “Contravveleni e antidoti”, del 1 gennaio 2016).
L’impressione immediata è che il libro sia stato strumentalizzato e non sia altro che una scusa per dar sfogo alle ossessioni che perseguitano l’autore ormai da non pochi anni facendo concentrare le sue polemiche, quasi sempre di basso livello, su un solo genere di cultura e soprattutto su un solo nome, quello di Evola appunto.
In questo caso il recensore, non solo deforma completamente le intenzioni interpretative di Lami, ma il suo stile non è certo in linea con quello dei due signorili “amici di penna”: quando sente parlare di Evola, si sa, ogni Vassallo (non solo il nostro Piero!), soprattutto nell’ultimo periodo, più che mettere mano alla pistola secondo quanto disse Goebbels riferendosi alla cultura, è colto da tic e lapsus, che inducono ad infarcire la prosa di riferimenti ad ogni tipo di “promiscuità” sessuale (in questo caso attribuita ad Evola senza spiegazioni di sorta, recependo solo presunte “voci” d’ambiente). Un gioco sin troppo facile e che ha uno scopo preciso: sottrarsi al confronto delle idee attraverso fumosi attacchi portati sul piano strettamente personale, con intromissioni denigratorie nell’ambito della vita sessuale. L’esperimento potrebbe essere fatto con chiunque, onesti cattolici compresi, secondo un metodo facile da ribaltare dando credito a voci e dicerie. Ma non è nel nostro stile: ognuno creda pure alla favole che più gli fanno comodo!
La cosa veramente sconcertante, in particolare per chi, come Sessa, ha collaborato per molti anni con Lami alla “Sapienza” e che con lui ha discusso l’intera corrispondenza con Melchionda, ancor prima della decisione di entrambi di pubblicarla, è leggere quest’affermazione: “Lami giudicava indispensabile ridimensionare l’autorità di Evola”. Questa frase è innanzitutto smentita dalle introduzioni che Lami scrisse alle raccolte di articoli e saggi comparsi su periodici e quotidiani, nei quali il pensiero del filosofo della Tradizione è storicamente contestualizzato allo scopo di attribuire ad Evola un ruolo di rilievo nel panorama speculativo, non solo italiano ma addirittura europeo. Proprio in quest’ottica nacque la lunga collaborazione di Lami con la Fondazione Evola. Allo scopo Vassallo vada a leggersi, tra le molte cose, la recensione del professore romano all’ultima edizione dei Saggi sull’idealismo magico, curata da Franco Volpi (Percorsi, n. 1, 2004) e si renderà conto di come la sua affermazione sia una vera e propria cantonata. Oppure si limiti a leggere la lettera a Melchionda del 29/2/1996 (Studi Evoliani 2009, pp. 115-117) in cui, in merito alle obiezioni dello studioso fiorentino relativamente al libro di Negri su Evola (J. Evola e la filosofia, Spirali, Milano 1988) argomenta che le impazienze critiche, anche nei confronti di Negri “… ci allontanerebbero, anziché avvicinarci al nostro obiettivo rivalutativo… Speriamo che il tempo e il confronto sereno delle rispettive opinioni renda merito e giustizia al nostro Autore” (p. 116). Più chiaro di così! Altro che ridimensionare Evola!
Vassallo poggia la propria perentoria asserzione su questa frase di Lami: “Per come la penso io, un Evola, inserito nel panorama filosofico contemporaneo, è un minore”, ma omette come suo solito maliziosamente la conclusione della frase: “Diversamente potrebbe apparire se la prospettiva si allarga, fino a retrocedere di molto nel tempo- e a certe condizioni di analisi comparativa!” (La folgore di Apollo, p. 192). Lami dice in altri termini che Evola può essere definito “minore” solo alla luce dei parametri “razionalistici e cartesiani” propri del dibattito filosofico contemporaneo. Ma il giudizio sarebbe diverso, qualora fosse possibile uscire da tale unilateralità. Inoltre, nelle lettere, questa definizione emerge nel confronto istituito dai due amici con l’azione speculativa di Hegel e di Heidegger (anch’essi capaci di suscitare reazioni incontrollabili in Vassallo), che di certo appartengono al catalogo dei “maggiori”. Lami, in particolare, si riferisce al lavoro di scavo filologico condotto da Heidegger sulle parole-chiave della teoresi occidentale nella lingua greca e in quella tedesca, allo scopo di lasciarsi alle spalle la malia del soggetto idealistico. Questo tipo di approccio era assente in Evola che, pertanto, non poteva che esser definito un “minore”.
Il nostro recensore, peraltro, dimentico dell’idea classica di tempo, pare non saper cogliere “il momento opportuno”. Apre la questione dell’Evola pensatore “minore” proprio nel momento in cui in Germania Thomas Vasek, documenti alla mano, ha mostrato un evidente interesse di Heidegger (il “divo”!) per Rivolta contro il mondo moderno. Il manoscritto ritrovato sta riaprendo il dibattito intorno al rapporto tra i due pensatori, come ha ricordato recentemente anche Angelo Bolaffi (La Repubblica, 4 gennaio 2016), che non è riducibile al tema del presunto antisemitismo, quanto al loro comune sentire antimoderno, posto ben al di là della prospettiva cattolica.
Sul piano strettamente teoretico, Vassallo riporta questa affermazione di Lami: “Direi addirittura che l’aspetto migliore del modello (evoliano) consiste nell’aver contribuito a minimizzare il principio di non contraddizione”. Pienamente d’accordo, solo che Lami non ne parlava in termini negativi: questa è la conclusione cui giunge nel suo tentativo trans e ultrattualista, sintonico alle tesi evoliane, Andrea Emo (accusato da Vassallo di essere un teologo delirante) e al quale guardano gli interpreti più accorti della filosofia contemporanea quali Donà e Gasparotti.
Prosegue ancora Vassallo nel rilevare che Lami riconosce con chiarezza l’ascendenza schellinghiana del pensiero di Evola (ci mancherebbe altro!): è proprio nel confronto serrato con il tedesco che Evola sviluppa la sua esemplare filosofia della libertà. Non è in questo contesto di certo secondario il fatto che Melchionda scrisse la prefazione alla monografia di Giovanni Damiano dedicata appunto a questo particolare aspetto della filosofia di Evola. Conclude, infine, il nostro recensore, utilizzando una definizione di Accame che diceva Evola esser legato da “stretta parentela”con Marcuse (ma Accame non aveva nei confronti di Evola alcuna intenzione denigratoria!). Inutile ricordare, a chi non ha intenzione di ascoltare, che la “contestazione” evoliana non è interna ai modelli culturali, spirituali, esistenziali dell’epoca presente, come invece lo è quella dei francofortesi.
Altro fraintendimento totale della prospettiva di Lami lo si evince da questa sua citazione strumentalizzata da Vassallo: “Non esiste possibilità di conciliazione tra la filosofia evoliana e il cristianesimo, tra il cattolicesimo di Evola e il cattolicesimo cristiano, che perseguono due itinerari contrastanti”. Il nostro recensore crede di vedere in questa affermazione un “tentativo di svelare le debolezze e le incongruenze dell’esoterismo, in fumosa, intossicante inarrestabile circolazione negli ambulacri affollati dai riformatori della proibita cultura fascista”. In realtà Lami con quella frase intendeva difendere ciò che ha sempre difeso nella sua vita di studioso: il valore del mondo classico, il suo Platone senza platonismo, mirato a realizzare un percorso esistenziale virtuoso e in ascesa nella Città. Cosa radicalmente altra dalla prospettiva cristiana alla quale Lami, pur essendo allievo di Del Noce, non aderì mai. Si legga allo scopo il suo testamento spirituale, Qui ed ora. Per una filosofia dell’eterno presente (Il Cerchio, Rimini 2011), in cui, sin dal titolo, si evince la sintesi delle sue posizioni, maturate anche per gli stimoli tratti da Evola. A proposito di Del Noce, e per inciso, conosce Vassallo il suo interesse per Evola? Così Lami lo ricorda: “Del Noce si apprestava a prender confidenza con talune “figure segrete” del periodo interbellico (A. Reghini, J. Evola, R. Guénon). Di sicuro l’esperienza lo segnò, come nessun’altra spingendolo alla scoperta di una “tradizione”, cui ben si applicavano i canoni della sua ricerca metastorica” (Introduzione a A. Del Noce, A. Pellicani, Roma 1999, p. 257). Non tutti i cattolici evidentemente sono della stessa pasta.
E proprio sotto questo riguardo dobbiamo rilevare come per Melchionda (lettera a Lami del 10/1/ 2007) <la favola dell’Evola mangia cristiani – che anche tu cavalchi (: Lami) – non mi sembra corrispondere ad una realtà storica significativa>. E’ senza dubbio infatti che <al filone biblico-cristiano egli preferì altri saperi spirituali ma ciò non gli impedì di includere il cattolicesimo nell’aureo filone che con Guénon chiamò ‘tradizionale’>. Non basta. Melchionda sferra subito dopo un fendente che colpisce in pieno la mala-fede di Vassallo: <Che tutto ciò non stia bene o non basti ai cattolici di stretta osservanza o di corta vista è comprensibile ma ciò non è un buon argomento per dichiarare Evola anticattolico. Cattolici con buoni occhi, quando non con tre, come ad esempio Silvano Panunzio, sono di ben diverso parere> (p. 178). Potremmo continuare ma preferiamo rinviare il lettore alla lettura integrale del carteggio, molto più complesso e intenso di quanto le chiacchiere del nostro sprovveduto recensore lascino intendere. Il fatto è che l’abitudine al ridicolo genera talvolta in chi ne è vittima una curiosa intrepidezza. E questa volta l’Epimeteo di Genova ha spezzato la catena della continenza ermeneutica arrivando persino ad arruolare Lami nella sua (di Vassallo) lotta contro l’onestà e l’intelligenza e nella sistematica denigrazione dell’uomo Evola, oltre che della sua opera. Ed è davvero curioso, per non dire sintomatico, che Vassallo valorizzi la posizione di Lami ─ che non era cristiano e negava recisamente il progetto di osmosi dottrinaria tra cristianesimo e pensiero evoliano ─ a spese di Melchionda, il quale invece arriva a sostenere che l’inconciliabilità di Evola e cattolicesimo <può essere vera per il cristiano tutto d’un pezzo, non per lui> (p. 179). Entrambi persuasi, comunque, della virtù anagogica dell’opera evoliana, capace di coniugare pensiero e azione facendosi “prossima” all’individuo nella sua battaglia quotidiana per la libertà. Da qui la necessità, condivisa dai due, di uno studio serio e approfondito ─ cui Vassallo continua a sfuggire ─ che eviti i consueti deragliamenti interpretativi (cui Vassallo contribuisce largamente) e che nell’elaborazione di una struttura critica resistente giunga a fare di Evola “un modello ontologico non trascurabile, nella linea di svolgimento del pensiero contemporaneo” (Lami, Delle rovine e oltre, A.Pellicani, Roma, 1995, p. 10). In queste argomentazioni è implicita la risposta all’ennesima accusa di ateismo rivolta da Vassallo all’Evola di Cavalcare la tigre, la cui insipienza teorica è stata con chiarezza messa in luce da Alessio de Giglio nello scritto Viaggio su un binario morto, (Studi Evoliani 2012, Edizioni Arktos, 2014, pp. 161-182) con queste parole: “Di passata, segnaliamo che proprio nel testo che Vassallo prende come prova irrefutabile dell’ateismo evoliano, c’è un interessante paragrafo dal titolo “Di là da teismo e da ateismo”, dove si legge, a proposito della sentenza nietzschiana sulla “morte di Dio”, che “a scomparire non è (…) il dio di una metafisica, bensì il dio del teismo, il dio-persona che è una proiezione di valori morali o sociali o un appoggio per la debolezza umana. Ora il concepire un dio in termini diversi non solo è possibile, ma fu proprio alle dottrine interne di tutte le grandi tradizioni pre e extra-cristiane, nelle quali viene altresì in evidenza il principio della non-dualità”. Con il conseguente richiamo ad una “trascendenza immanente”, che affermi una visione liberata dal mondo, di là dalle demolizioni nichilistiche. E qui di ateo (semmai di fanaticamente religioso) e di “catastrofista” non pare ci sia granché. A meno di non considerare equivalenti una posizione religiosa o più genericamente spirituale antiteista con una meramente atea, cosa che Vassallo ha tutto il diritto di fare, come noi abbiamo tutto il diritto di ridere” (pp. 170-171). Naturalmente di repliche motivate e articolate come questa, alla luce della sua supponente autoreferenzialità, Vassallo continua indefesso a non tener conto.
I risultati dell’ossessione non hanno dunque limiti: il Nostro giunge a sostenere senza alcun pudore che “L’evolismo ha inquinato, alterato e depistato la cultura della destra italiana, inducendo i suoi interpreti a rifugiarsi…nel vuoto mentale di Fini&Bocchino”. A noi pare che il vuoto mentale e politico della destra dell’ultimo ventennio sia, al contrario, il punto d’arrivo, non solo della dimenticanza (meglio non-conoscenza) del pensiero di Evola, ma più in generale dell’oblio di qualsiasi progetto politico-culturale. E’ il caso di ricordare che, al fianco di Fini, non ci sono mai stati, nel “ventennio della pacchia”, personaggi vicini alle prospettive evoliane, nel qual caso fuori i nomi, al massimo forse qualcuno che così si definiva in una lontana gioventù, ma certamente diversi cattolici ruoli di responsabilità politica ed accademica li hanno pur ricoperti! Non sarà che la colpa della decadenza sia proprio loro che occupavano posti chiave?
Nessuno conosce davvero più la decenza e l’onestà intellettuale… Sarà necessario recuperale quanto prima, se si vuole tentare davvero di dar luogo ad una ripartenza culturale e politica, anziché disperdere energie in sterili polemiche senili.