Pubblichiamo un estratto del romanzo di Rosalinda Cappello, “Il potere della fame”, edito da Idrovolante: il racconto della storia della famiglia Faraone “dalla tradizione contadina all’innovazione industriale”
«Arrivo a Tortoreto in un’antivigilia di Natale insolitamente mite. […] Gli chalet che guardano l’Adriatico sono desolati, silenziosi, malinconici. Hanno gli ingressi sbarrati, tutti, tranne uno. All’interno, l’anziana proprietaria […] mi accoglie con semplicità, con un piatto di spaghetti allo scoglio preparato al momento. […]
Bevuto l’ultimo sorso del vino bianco, un po’ tiepido per la verità, con cui ho accompagnato il mio primo di pesce, pago il conto, mi tolgo le decolleté di vernice color bronzo con il tacco, scendo i gradini che separano lo chalet dalla spiaggia e mi avvicino al mare, per respirarne l’odore. Mi fermo un po’ lì. Lo sguardo rivolto all’orizzonte segue il planare di un gabbiano, la mente vola via con lui, per un tempo indefinito. Soltanto il brivido dell’acqua fredda dell’onda che s’infrange sulla battigia, sfiorando i miei piedi nudi, mi riporta indietro. Guardo l’orologio, è ora di andare. […]
Citofono. “Sono Ludovica Venezia, ho un appuntamento con Sabatino Faraone per un’intervista”. Mi viene aperto e vengo accompagnata in una grande sala. Forse, però, sono in anticipo. Là dentro, Sabatino, settantuno anni, è seduto ancora a tavola con le sue maestranze – così le chiama – per gli auguri di Natale della sua azienda, la Faraone srl. […] Trascinata verso il basso dalla brutta congiuntura economica internazionale iniziata nel 2008, l’Italia fatica a risollevarsi, una crisi generalizzata la blocca da troppo tempo. L’asfissia ha finito per soffocare numerose piccole e medie imprese, ha polverizzato posizioni e speranze, contratto il ceto medio, precipitato molti, chiuso i rubinetti prosciugati dagli sprechi. Le opportunità si sono ridotte, così come la fiducia nel futuro. Questa la percezione strisciante nel Paese, un pessimismo diffuso, e deleterio, che annichilisce le volontà e promette sconfitte quasi quanto la melma paludosa dell’attuale stagione economica, sociale, culturale.
Proprio l’atmosfera che non ci vorrebbe per tirarsene fuori, lo sa bene la generazione del dopoguerra. Un po’ meno, invece, se ne rendono conto quelle venute su negli anni Ottanta e Novanta e che oggi, per lo più, sono preoccupate, disorientate, anche sprovvedute, talvolta arrabbiate, che cercano di prendere le misure del momento, senza ancora venirne del tutto a capo. In fondo, per circa quarant’anni, a prevalere era stata la convinzione che tutto fosse possibile, raggiungibile senza troppi sforzi, senza sudore.
La guerra, la fame del dopoguerra, la lotta per la sopravvivenza, le difficoltà quotidiane, al massimo, erano racconti di famiglia, tracce d’inchiostro sui libri di storia, o immagini che scorrevano nei documentari. I genitori, per anni, avevano soddisfatto pressocché ogni bisogno, esaudito ogni desiderio, ancor prima che i loro figli sapessero di avercelo… Lo Stato elargiva posti di lavoro, servizi, nutriva clientele e, intanto, assorbiva e sperperava risorse. Ma l’avversa congiuntura internazionale era dietro l’angolo, e… E ora a pagarne le spese sono quelli meno equipaggiati. Bombardati di negatività, sperimentano gli effetti della stagnazione e del ripiegamento.
Ma quanto rischiano di diventarne conniventi? Agli occhi di chi li precede anagraficamente appaiono lamentosi e abbattuti, balbettanti davanti alle difficoltà imposte da uno scenario oggettivamente ostile al quale non erano stati preparati, ereditato da chi ora chiede loro di pagarne le conseguenze. Frustrati, angosciati, passivi rischiano di trasformarsi da vittime in complici se si abbandonano a una pigra, facile rassegnazione, chiudendosi in un orizzonte ristretto invece di sollevare lo sguardo per scorgere nuovi orizzonti.
Come venirne a capo? Fregarsene, scoraggiarsi, deprimersi, infuriarsi e però adattarsi a una situazione sgradevole ma di comodo, che magari trattiene in un limbo sotto l’ombrello protettivo di famiglie sempre più simili a calde chiocce? Oppure, prendere atto della situazione e riconoscere che, se qui
le opportunità non ci sono, allora, bisogna andare a cercarsele ovunque, anche al di là dei confini? C’è chi sceglie questa strada, sempre in numero crescente. In un mercato aperto e globale, sarebbe ed è una possibilità a cui pensare, per quanto comporti rinunce e sacrifici. […]
Paradossalmente, i loro nonni, i loro genitori – gli stessi che hanno generato il deserto che oggi devono Attraversare – sono anche il modello a cui guardare per migliorare il loro presente e per provare ad agganciare il futuro. Sono loro, i testimoni vincenti di un passato di stenti e di sfide, che possono indicare la via d’uscita. Certo, c’è una differenza da riconoscere, tra le due stagioni: nel secondo dopoguerra, e per alcuni decenni, lo scenario era stato più dinamico e aveva offerto opportunità a quelli che avevano saputo e voluto coglierle. Oggi, il sistema-Paese è cristallizzato, fossilizzato, chiuso, e chi non ne fa parte è per lo più tagliato fuori o deve contendersi le briciole.
Tuttavia, la generazione degli Olivetti, dei Borghi e di tanta gente che si è rimboccata le maniche per tirarsi fuori dalla miseria – facendo dell’Italia del dopoguerra un posto di speranza, di slancio, di fiducia, in crescita – ha affrontato meno sacrifici di quelli che il momento attuale impone a chi oggi si scontra con la scarsità di occupazione o con lavori sottopagati e inadeguati alle proprie aspirazioni e alla propria formazione? Hanno fatto meno fatica quelli venuti su nel secondo dopoguerra, che hanno investito su ciò che avevano – se stessi – e puntato a migliorare le loro condizioni di partenza?
Uno di questi è Sabatino Faraone – classe 1943, di famiglia contadina – che ora pranza con le sue maestranze, alle quali ha appena finito di parlare con il suo solito cuore, quel cuore lacerato dalla peggiore tragedia che possa capitare a un genitore, quello stesso cuore che ha sempre nutrito il carattere e la determinazione che lo hanno portato a raggiungere risultati importanti, facendolo rialzare tutte le volte che è caduto. […]
A incoraggiare i giovani Faraone a puntare in alto è invece zia Annantonia. È lei che con il suo fare persuasivo agisce su di loro, li influenza, fino quasi a plasmarli, a levigarli come il mare fa con gli scogli, con un’azione costante e continua. Zia Annantonia, che nonostante il suo handicap è una donna molto attiva e di compagnia, quando ha del tempo libero va a trovare le amiche e nelle sue lunghe camminate con i nipoti, che a turno l’accompagnano in giro, parla con loro, cerca di convincerli che possono, devono, aspirare a migliorare la loro condizione. […] “Fa’ quello che sai fare, l’importante è che non resti senza fare niente”. Questo è l’insegnamento che hanno in casa. […]
Piero [il fratello minore di Sabatino] quando arriva il tempo di andare a scuola, rivela tutta la sua avversione per i libri: di studiare non ha molta voglia e alla terza elementare si fa pure bocciare. […] Non trova molti stimoli a scuola, che abbandona a sedici anni, e trova altrove, fuori dal recinto dell’aula, la sua strada, il modo per far fiorire i suoi talenti e le sue capacità. […]
È il 1994, l’azienda di Piero prosegue il suo percorso. Nasce la Ima spa e prende la forma attuale. […] “Un gruppo che funziona, così come l’innovazione, lo sviluppo, il legame e valorizzazione del territorio e degli individui, sono gli ingredienti fondamentali che hanno permesso alla nostra azienda di crescere – afferma Piero – È importante creare l’humus per far stare a proprio agio chi lavora. L’imprenditore non dovrebbe sentirsi al di sopra, ma essere in mezzo alle cose e agli uomini, non dovrebbe mantenersi nelle retrovie, limitandosi soltanto a comandare e a mandare avanti gli altri. Un imprenditore deve saper ascoltare i propri collaboratori, conoscere le loro esigenze, riconoscere che cosa serve loro perché possano svolgere al meglio il loro compito e metterglielo a disposizione. Deve capire come vivono e che non esiste soltanto il lavoro. È in questo che consiste il suo ruolo sociale: creare occupazione, sì, ma anche le condizioni per il benessere dei lavoratori”. […]
“Chi vuole costruire qualcosa, seppur tra le mille difficoltà, alla fine ci riesce. E la principale motivazione gli verrà dalla fame”. […] Sabatino e Piero me lo dicono più volte […]: tra coloro che bussano alle nostre frontiere, spinti dalla fame, dalle avversità a cui cercano di sottrarsi per sopravvivere, c’è gente che non ha nulla da perdere e tutto da guadagnare, disposta al duro lavoro per costruirsi nuove opportunità. Come, del resto, fecero i nostri emigranti Oltreoceano e Oltralpe. […]»
*”Il potere della fame. I Faraone, dalla tradizione contadina dell’innovazione industriale” di Rosalinda Cappello (Idrovolante edizioni. pp.160, euro 13)