19 gennaio 1865. Pierre-Joseph Proudhon, anarchico, filosofo ed economista, muore nel parigino XVI arrondissement.
Nato in una famiglia poverissima, iniziò a lavorare fin da bambino in campagna, a Besançon, studiando da autodidatta e riuscendo da adolescente ad essere ammesso nel Collège Royal della sua città, dove fece brillantemente studi classici che però, a 19 anni, dovette abbandonare per lavorare in una stamperia, dapprima come operaio, poi come correttore di bozze, senza però mai lasciare lo studio, perfezionando quello del latino, del greco e della teologia (la madre era cattolica praticante), avventurandosi poi anche nello studio dell’ebraico.
Costretto nuovamente dalla crisi economica a cercare nuovi mezzi di sostentamento, lavorò in altre città della Francia ed emigrando anche in Svizzera, a Neuchátel, ma questo “tour” fu nel segno dell’antica tradizione del “compagnonnage”, quella sorta di confraternita giovanile, di tipo corporativo, che vedeva giovani “apprendisti” lavoratori girare nel loro Paese per conoscere i segreti del lavoro artigiano, viaggiando con mezzi di fortuna e mantenendosi apprendendo.
Compagnonnage che si sviluppò anche in altri Paesi (ma non in Italia), chiamandosi “Journeyman” nel mondo anglosassone e “Gesellenrbruderschaft”, più comunemente noti con il nome di Wanderjahre in Germania, dove sono ancora presenti con il nome che contraddistingue la rispettiva corporazione, come ad esempio “zimmermann” (carpentieri) che capita di incrociare – rarissimamente ma a chi scrive è capitato due volte – , con il caratteristico costume (panciotto, cappello a tuba, …) suonando strumenti tradizionali per raggranellare qualche soldo per proseguire il viaggio di lavoro. Ai tempi di Proudhon, vera aristocrazia del mondo operaio e scuola di vita comunitaria.
Ma, mi si consenta la digressione addirittura secolare, solo parzialmente fuori tema perché anche per Proudhon fu una esperienza fondamentale della sua formazione: un famoso personaggio della storia della Russia fu un Wanderjahre in Olanda in gioventù; Pietro il Grande, destinato a diventare Zar di Russia, nel Settecento. Sotto falso nome fu artigiano itinerante nei cantieri navali olandesi, ricevendone una formazione che sarà fondamentale nella sua opera di modernizzazione della Russia e nel suo senso della comunità, prova ne sia il suo gruppo (l’Allegra Compagnia) di amici vagabondi in giro per la sue terre imperiali, retaggio evidente della sua esperienza olandese.
Tornando a Proudhon, questi si trasferì a Lione per entrare al lavoro nell’azienda degli amici Gauthier, nel ruolo professionale gli si presentò l’occasione di poter viaggiare e ne approfittò per conoscere i maggiori tra i socialisti del suo tempo, da George Sand a Louis Blanc, da Michail Bakunin ad Alexandre Herzen a Karl Marx.
Con quest’ultimo il rapporto non fu facile, contraddistinto da dure polemiche, basti pensare al libro di Proudhon uscito nel 1846, “La philosophie de la misère” al quale Marx contrappose l’anno successivo il suo “La misère de la philosophie”.
Ma Marx ammirava Proudhon, considerandolo il solo socialista francese liberatosi del misticismo cristiano. Nonostante ciò, Marx è noto che fu sempre in forte contrasto “ideologico” con molti, a partire da Lassalle, Bakunin, Bauer a finire con Proudhon.
Nel 1837, a 28 anni Proudhon pubblicò il suo primo lavoro, un saggio di grammatica generale che gli consentì, l’anno successivo, di concorrere e vincere una borsa di studio pluriennale per accedere a nuovi studi, a Parigi, previsti per un unico posto ad un giovane meritevole.
Nella capitale studiò e lavorò riuscendo infine a frequentare la Facoltà di Legge e il Collège de France.
Sulla buona strada per diventare un onesto borghese, non si fece ingabbiare dal Sistema e proclamò: “Daremo un giorno mostra di uomini convinti e inespugnabili nel loro credo, risoluti e costanti nella loro impresa. Daremo prova di essere sinceri, che la nostra fede è ardente; con il nostro esempio cambieremo la faccia del mondo. La fede è contagiosa”.
Si stabilì definitivamente a Parigi nel 1840 dove scrisse in quell’anno “Che cos’è la proprietà?” con la relativa provocatoria risposta: “Un furto!”, ma in realtà facendo l’apologia dei piccoli proprietari. E poi, il libro, è sottotitolato “Ricerche sul principio del Diritto e del Governo”.
Fu sorpreso dai moti rivoluzionari del febbraio 1848, nonostante lo scetticismo su quella che considerò una rivolta fuori tempo e senza concrete finalità, fu comunque sulle barricate con i compagni fino alla fine quando fu proclamata la Seconda Repubblica francese sui cadaveri dei 350 caduti nella sommossa.
Nello stesso anno fu eletto deputato all’Assemblée nationale nella quale andò a sedersi, solitario, alla sinistra dell’estrema sinistra.
Arrestato, processato e condannato al carcere nel 1849 per aver ancora attaccato pesantemente il potere di Napoleone III (Luigi Napoleone), colse l’occasione della detenzione per scrivere tre saggi: “Les confessions d’un révolutionnaire”, “Idée générale de la révolution” e “La philosophie du progrès”.
Non domo, continuò a scrivere e ad attaccare i poteri, quello politico francese e quello della Chiesa.
Nuovamente condannato a tre anni di carcere, soppressi i quattro giornali che aveva fondato e diretto, si rifugiò in Belgio.
Nell’esilio elaborò progetti come la nascita di una Banca del Popolo per una equa circolazione del denaro e il credito solidale, il problema di fondo che lo aveva mosso a scrivere il “Che cos’è la proprietà”.
Tornò a Parigi nel settembre 1862, nella solita Parigi imperiale, raccolse in volume alcuni suoi scritti con il titolo “La fédération et l’unité en Italie” e su questa idea del federalismo iniziò ad elaborare nuovi lavori, sulla Repubblica federativa, soluzione di tutti i problemi, valida per tutti i popoli per la quale era necessaria la Rivoluzione: “Ieri camminavamo con la testa in basso, oggi la portiamo in alto. Senza che noi si perda la nostra personalità, mutiamo l’esistenza. Questa è, nel XIX secolo, la Rivoluzione”.
Alla sua morte, l’amico pittore Gustave Courbet, autore del celebre dipinto della famiglia Proudhon (a corredo di questa effemeride), scrisse: “Il XIX secolo ha perso la sua guida”. Courbet che, ci piace ricordarlo qui, aveva sposato gli ideali del filosofo francese e li aveva portati nella corrente artistica dei Macchiaioli i quali furono fortemente suggestionati dalle letture estetico-politiche di Proudhon.
Dopo pochi anni dalla sua morte, la sua presenza si farà sentire, forte, nei sogni dei comunardi del 1871, dal già citato Courbet a Vermorel e nel manifesto della Comune.
Amato dalla Nuova Destra francese
In un suo articolo su “éléments” Pierre Vial ha sintetizzato così la figura di Proudhon: “è anche una delle più interessanti figure della corrente socialista francese che ha contribuito a creare. Ideologo dell’azione rivoluzionaria, si oppose ad ogni deviazione messianica, marxista o cristiana. Partigiano della comunità di popolo saldata attorno ad una volontà creatrice, annnciò, con termini che ritroveremo in Jünger e in Heidegger, l’avvento del lavoro come nuovo mito prometeico”.
Per Sternhell fu una figura chiave per la nascita dei fascismi
Da taluni studiosi, come Zeev Sternhell, docente nell’Università ebraica di Gerusalemme, Pierre-Joseph Proudhon, l’anarchico, il socialista libertario, è da considerarsi una delle figure chiave nella nascita del fascismo, che l’israeliano situa non in Italia ma nella Francia a cavallo tra fine ‘800 e primi del ‘900, dalla congiunzione di vari filoni di pensiero, i maggiori dei quali sono da rintracciarsi nel Socialismo e nel Nazionalismo. “I suoi grandi uomini sono non solo Sorel, Barrès e Maurras, ma anche Péguy, La Tour du Pin, Proudhon” scriverà in “Ni droite, ni gauche”.
E saranno proprio maurrassiani e sindacalisti rivoluzionari a dar vita nel 1911 al Circolo Proudhon che sarà la palestra intellettuale di quella nuova ideologia, preludio alla cattedra Proudhon nella scuola dell’Action Française che lo considerava un “maestro” per il suo rifiuto di Rousseau, il disprezzo per la democrazia parlamentaristica e i suoi richiami alla tradizione, alla famiglia, alla forza che mette in moto i popoli verso le conquiste, fino alla nostalgia per il mondo patriarcale e alla condanna del mondo controllato dall’usura e dall’interesse.
Tutti temi che saranno sviluppati, sempre nell’ambito dell’Action Française, dai “Cahiers du Cercle Proudhon”.
Più avanti, negli anni Trenta sarà il filosofo ed economista belga Henry De Man a prendere per base Proudhon per il suo superamento del marxismo nel suo libro “Au-delà du marxisme” che porterà verso il fascismo un’altra fetta di intellettuali socialisti europei come quel Marcel Déat, teorico a sua volta del néo-socialisme, che era considerato l’astro nascente del Socialismo francese.
Un amalgama ideologico che, ancora una volta in Francia, porterà alla nascita della rivista “l’Homme nouveau” diretta da Georges Roditi, autore di cui parla l’ebreo israeliano Sternhell in questi terimi: “Roditi in un testo che dovrebbe trovare posto in qualsiasi antologia del fascismo [scrive]: “ogni rivoluzione vera è in sé una riconciliazione, la nascita di una nuova comunità umana, di un nuovo principio d’amore e di fratellanza fra gli uomini. E’ impossibile immaginare una potente corrente rivoluzionaria senza questa nuova fraternità (…) A tutti questi vecchiumi del conservatorismo di destra e del conservatorismo di sinistra, la gioventù deve rispondere con Proudhon: riconciliazione è rivoluzione”.
In tempi più vicini a noi, saranno i socialisti François Mitterand e Bettino Craxi (attraverso la rivista culturale del Partito Socialista, “Critica Sociale”) a fare riferimento a Proudhon.
(dal gruppo Fb Effemeridi del giorno)