Se n’è accorto pure Matteo Renzi, che ha aperto all’ipotesi di un“Sindaco d’Italia” alla guida delle istituzioni. In fondo, diciamocelo pure, con il Napolitiano-bis trionfa la destra, quella vera e delle idee. Non è uno scherzo. Ma la presa d’atto assai lucida che con la riconferma al Colle più alto di Roma di Re Giorgio, trionfa un cavallo di battaglia tanto caro ai nipoti del Duce, il presidenzialismo. Già. Molto probabilmente aveva ragione Lui, la bonanima, che sognava una Repubblica Sociale bipartica e, appunto, presidenziale.
Difficile negare come anche uno dei più grandi oratori della Prima repubblica, Giorgio Almirante, avesse pure lui ragione. A fronte di una repubblica votata all’instabilità permanente, il fondatore dell’Msi credeva che l’elezione diretta del Capo dello Stato avrebbe restituito autorevolezza alle istituzioni. Da sinistra – da parte sua – aveva ragione anche il tanto vituperato Bettino Craxi, a cui i comunisti (ex-post-e-irriducibili) non hanno ancora perdonato un leaderismo chiaro e netto che ha costretto il vecchio Pci ad una marginalità politica di massa.
Come ricordava Giano Accame, riferimento culturale per generazioni di giovani a destra, avevano ragione pure gli esponenti del Partito d’Azione, l’ala più intellettuale ed elitaria dell’antifascismo nostrano. Furono infatti solo loro, in fase di costituente, a proporre la soluzione presidenzialista, spiegando che la liberal-democrazia era ceduta davanti al fascismo perché troppo debole. Tesi, ancora oggi, mai smentita dagli storici.
Ed è proprio alla forza, la romanissima vis, a cui oggi si dovrebbe guardare. Napolitano ha vinto perché rappresenta a suo modo – nel caos – una autorità. Ed al cento-per-cento pure. E non solo per il marasma istituzionale che ci ha regalato il post voto. Guai, infatti, a mettere in dubbio le sue manovre. Siano queste concordate con la Merkel, nel caso del nascita del governo Monti; oppure relative a qualche tassello di cui non conosceremo mai il contenuto, circa la presunta trattativa tra stato e mafia, la cui avversità, sarebbe costata la vita al giudice Paolo Borsellino. Un personaggio sul cui valore umano, invece, c’è poco da dubitare. Le cui vicende, nel 1992, s’incrociarono con l’elezione del presidente della Repubblica. Fu allora, infatti, il Msi a proporlo come Capo dello Stato. Un’opzione che, oggi come allora, sancisce che a destra si aveva proprio ragione.
C’è però una colpa da espiare. Ed è epocale. L’intuizione presidenziale c’era ed tuttora valida. Anche le quirinarie a Cinque Stelle lo confermano. Ma la destra non ci ha più creduto: eppure negli anni novanta Giuseppe Tatarella, scomparso prematuramente, aveva intitolato la sua rivista. “Repubblica presidenziale”… Partendo da proprio Gianfranco Fini che ha contrabbandato e distrutto un’idea giusta in favore di un nulla. E pensare che, se fosse stato più fedele al suo popolo, oggi, il primo presidente post-fascista della Storia, sarebbe potuto essere proprio lui. La rielezione del comunista Napolitano è il giusto contrappasso dunque che la destra ha da subire. Ma solo per sette anni (salvo dimissioni anticipate). Il tempo sufficiente per un salutare mea culpa generale.